venerdì 20 ottobre 2017

In pellegrinaggio verso Pistoia


Quella che vedete è Via Maragliano a Firenze. È possibile che l'assetto odierno della periferia nord-ovest fiorentina sia dovuto almeno in gran parte a un Vescovo di Pistoia vissuto nella prima metà del XII secolo? È possibile eccome!

La storia, nella sua prima incerta parte, s'inizia all'incirca nel 1109, quando un viandante dai tratti palesemente forestieri bussa alla porta del Monastero di Vallombrosa. L'Abate, il Beato Bernardo degli Uberti, lo accoglie senza inizialmente riconoscerlo. Lui allora si presenta: si chiama Atto. Si erano incontrati al Concilio di Clemont-Ferrand (1095). Atto voleva partire lancia in resta per la prima Crociata, ivi indetta, ma Bernardo lo aveva esortato a far parte di una milizia non armata di usbergo, ma vestita delle umili divise di Cristo, per battersi contro il nemico che, non meno pericoloso dei mauri, minacciava la Chiesa dall'interno: la simonia. Quella combattuta da S. Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosani.
In seguito, Atto aveva preso commiato dalla sua città natale Badajoz per mettersi in cammino alla volta di Roma, traversando in modo non agevole i Pirenei e le Alpi. Aveva raggiunto la Città Eterna e, tornando per Norcia e Camaldoli, era approdato finalmente a Vallombrosa. Per Bernardo fu una gioia immensa dargli il benvenuto nell'abbazia.

Il Canonico Giovanni Breschi narra tutto ciò nei primi capitoli della sua Storia di S. Atto Vescovo di Pistoia, datata 1855. Correttamente non tralascia di precisare che su quanto raccontato molti dubbi sono legittimi. A partire dall'origine spagnola di Atto. Breschi la dà non come certa, ma comunque come molto probabile. Tra gli indizi più attendibili segnala un manoscritto coevo che riporta il citato incontro a Clermont-Ferrand; e la bolla emanata da Papa Paolo V nel 1614, in cui il Pontefice concede al popolo di Badajoz, che ne aveva fatto pressante richiesta, il culto del Beato Atto. Non sono riuscito a rintracciare studi di autori recenti segnalati da Benvenuto Matteucci, secondo i quali Atto sarebbe stato originario della Val di Pesa, o Pescia, o Passignano.
Ben più certa e documentata è la sua intensa attività presso l'abbazia vallombrosana, di cui divenne Abate nel 1120. "Durante il suo governo" riferisce ancora Matteucci "furono fondati il monastero di S. Donato in Borgo a Siena e una nuova comunità monastica, nella diocesi di Cremona, nel luogo detto Torre Trentina, presso una chiesa dedicata a s. Vigilio". Fu erudito ed eccellente letterato. Scrisse alcune biografie di Santi, tra cui Barnaba e Giovanni Gualberto. La sua autorevolezza gli procurò la nomina a Vescovo di Pistoia nel 1133, e una serie di privilegi da parte dei Papi Innocenzo II e poi Celestino II. Atto rimase comunque monaco vallombrosano, e onorò entrambi i mandati con coerenza, per giudizio di tutti, esemplare. Venne chiamato, quale arbitro corretto e imparziale, a risolvere numerose diatribe tra diocesi.

Benedetto Veli (1534-1639): incontro tra Papa Innocenzo II
e il Vescovo Atto. Badia a Passignano.

Tornando a quanto scritto in apertura, l'iniziativa presa da Atto che ebbe conseguenze di portata straordinaria, al punto di giungere in pratica fino a noi, fu la collocazione a Pistoia in Cattedrale della reliquia di S. Jacopo (o Giacomo). Ottenerla non fu facile. Atto si servì dell'intermediazione di un diacono di Compostela di origine pistoiese chiamato Ranieri, nonché di altri personaggi influenti, presso Didaco, Arcivescovo di Compostela, e inviò, sempre attraverso percorsi non del tutto agevoli, due pii pistoiesi: Mediovillano e Tebaldo. L'autorevolezza del Vescovo di cui erano latori fece superare a Didaco le esitazioni nei riguardi di un gesto senza precedenti. Acconsentì dunque, tra mille cautele, a staccare una ciocca di capelli dalla salma del Santo, ma coi capelli venne via anche una seppur piccola parte di cranio. Accettato l'imprevisto come volontà di Dio, il tutto fu inserito in un reliquiario, che Mediovillano e Tebaldo riportarono a Pistoia.
Furono accolti in città come trionfatori, con un dispiegamento di paramenti e una partecipazione popolare di cui difficilmente possiamo immaginare le dimensioni. La reliquia fu collocata nella Cattedrale di S. Zeno e furono consacrate ad hoc la cappella e l'altare di San Jacopo. San Jacopo fu proclamato Santo Patrono di Pistoia. Era il 1145. Da allora in poi fu un continuo contribuire all'abbellimento dell'altare con opere artistiche e ricchi addobbi, tanto che si parlò di tesoro di S. Jacopo. All'altare argenteo contribuì, tra il 1287 e il 1456, una vera all stars di orafi. La reliquia e l'altare rimasero nella cappella fino al 1785. Vedremo in un prossimo post cosa poi accadde.

Tralasciando le vessatae quaestiones sull'autenticità delle reliquie (di S. Stefano si veneravano tre braccia), ricordiamo il ruolo importantissimo che esse avevano non solo nella pratica religiosa, ma nella vita dei fedeli, cioè, all'epoca, di tutti. Scrive Breschi:


Se la venerazione per le sacre reliquie fu sempre grande nel popolo cristiano, come lo attestano i più certi monumenti della Chiesa primitiva, ella fu massima nel medio evo, quando il perfetto esplicamento dello spirito cattolico in virtù del generale predominio da esso conquistato sul paganesimo, e lo slancio d'una fede viva, accompagnata dalle sue nobili ispirazioni, rendevano sommamente care al cuore de' credenti tutte le rimembranze ed i resti preziosi di coloro che colla parabola, coll'opera e col sangue avevano contribuito allo stabilimento e alla diffusione della religione di Gesù Cristo.

La Chiesa di S. Jacopino quando
si trovava nella piazza omonima.

Le tre grandi mete dei pellegrinaggi cristiani erano nell'antichità la Terra Santa, Roma e Compostela.  Dopo il 1170, anno in cui fu martirizzato S. Thomas Becket, vi si aggiunse Canterbury. In Toscana, i fedeli che non avevano la possibilità, economica e/o fisica, di compiere percorsi così lunghi, si ritennero come miracolati dalla possibilità di raggiungere e adorare una reliquia di tal valore al termine di un cammino ben più breve. Pistoia divenne una meta di pellegrinaggio.
Negli stessi anni Firenze non aveva una grande importanza, e proprio perché era tagliata fuori dalle più grandi vie di comunicazione quali la Francigena. All'inizio del '200 la crescita della città andò di pari passo con lo svilupparsi di strade che, disposte a raggiera, convergevano sul centro. In questo modo si realizzò tra l'altro quella che Renato Stopani ha definito la 'cattura' della Francigena, grazie a un percorso per Roma "dalla via che collegava direttamente Bologna a Firenze attraverso i valichi appenninici del Mugello e proseguiva quindi in direzione di Siena utilizzando le strade che in precedenza erano servite a collegare la città gigliata con la Francigena, intercettata a Poggibonsi o a Siena".

La via di pellegrinaggio da Firenze a Pistoia sviluppò una importanza analoga. Era quella che, uscendo da Porta a Faenza, aveva in origine costituito il primo decumano minore settentrionale, ovvero le odierne via delle Ghiacciaie, via Cassia, via Maragliano, via di Novoli, e seguiva poi in pratica il percorso della Firenze-Mare.

S. Cristofano a Novoli

Come le nostre autostrade sono oggi fornite di punti di sosta con autogrill e motel, la strada per Pistoia si costellò di ospitali. Trattandosi di via di pellegrinaggio, i luoghi religiosi lungo il percorso crebbero e prosperarono, e molti sono giunti fino a noi. Non è casuale che la chiesa sorta all'incrocio del decumano con il secondo cardus minor occidentalis ed esistente almeno dal 1250 sia dedicata a S. Jacopo. Né che la chiesa sulla stessa direttrice a Novoli abbia come titolare S. Cristofano, protettore dei pellegrini. Il traffico intenso verso la reliquia di S. Giacomo, che per secoli ha interessato e caratterizzato la via, può essere tra le cause del fatto che questa è giunta fino alla nostra epoca in pratica senza aver subito variazioni né deviazioni di rilievo.









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