giovedì 31 maggio 2018

Inaugurando Cristina


Domenica 27 maggio ho avuto, più che l'onore, il blasone di presentare Oltre, la personale della mia amica Cristina Falcini inauguratasi alla Casa di Giotto a Vespignano. Come la domenica precedente - vedi il relativo post - era presente anche Toscana TV. Fabrizio Borghini e l'operatore Alberto Risaliti hanno creato il servizio che vi allego, nel quale tra l'altro riassumo parte della mia introduzione. Oltre al contributo dato all'inaugurazione da Paola e Remo, del Centro dell'Età Libera, durante il video ci si può in effetti deliziare la vista con i dipinti di Cristina per i quali ammetto di aver tradito un entusiasmo non indifferente. Un entusiasmo che però Cristina merita ampiamente. Buona visione!

Foto di Tina Pelaia Baroncini

Fabrizio Borghini, Giuliano Paladini, io e Cristina. Foto di Tina Pelaia Baroncini



Cristina con l'amica e collega Susi La Rosa, autrice anche della foto sopra



lunedì 28 maggio 2018

Cronache da un incontro sul Paladino


Per chi non ce l'ha fatta a partecipare all'incontro che si è tenuto alla Rufina lo scorso 20 maggio, in cui ho raccontato la vicenda umana e artistica di Filippo Paladini (1544?-1614), gli amici di Toscana TV, capitanati dall'inesauribile Fabrizio Borghini, hanno realizzato questo servizio, durante il quale da  un lato io ho fatto una sorta di Bignami su Filippo Paladini, dall'altro l'operatore Marco Frosini ha inserito una notevole quantità di immagini di opere dell'artista.
La giornata è stata davvero bella e partecipata, la cornice - la grande sala di Villa Poggio Reale - davvero splendida e io, che avevo da parlare su un artista decisamente poco conosciuto, e comunque meno di quanto merita, spero di non aver deluso le attese. Ringrazio Fabrizio e Marco per il bel lavoro svolto. Buona visione!.

Con Giuliano Paladini e l'Assessore Daniela Galanti che mi 'introduce'.
Foto di Aldo Giovannini

Foto  di Tina Pelaia Baroncini

Foto di Tina Pelaia Baroncini

domenica 13 maggio 2018

Quasi un altro Caravaggio: Filippo Paladini


Vi aspetto alle 16.30 di domenica 20 maggio a Villa Poggio Reale, alla Rufina (FI), dove racconterò la storia di Filippo Paladini. Pittore troppo spesso liquidato come manierista, in Toscana è meno conosciuto di quanto merita perché lavorò solo a Malta e in Sicilia, e non esattamente per libera scelta. Ma era nato (lui quasi di sicuro, il babbo di sicuro senza quasi) a Casi della Rufina. Ciò che segue è una specie di pillola introduttiva, come tale forse un po' frammentaria,  di quanto narrerò.

La prima biografia di Filippo Paladini fu redatta nel 1724 da Francesco Susinno (1665 ca.-1730), all'interno delle sue Vite de' pittori messinesi. Non sono riuscito a rintracciare le Memorie del dipintor da Firenze Filippo Paladini, opera di Carmelo La Farina datata 1836, mentre è facilmente reperibile on line l'ampia monografia (1882) di Gioacchino Di Marzo Di Filippo Paladini, pittore fiorentino della fine del secolo XVI e de' primordi del XVII, in cui sono riportati tra l'altro i documenti che ricostruiscono i drammatici fatti di cronaca di cui Paladini fu protagonista nel 1586 e ne determinarono il destino. Questo testo è oggi ancor più prezioso in  quanto gli originali di questi documenti furono alluvionati nel 1966. 


La vicenda umana di Filippo Paladini presenta tuttora numerosi aspetti oscuri e veri e propri buchi temporali, come quello tra il 1595 e il 1598, periodo in cui egli letteralmente scomparve. Tra i contributi per ricostruirne almeno la vicenda artistica, meritano di essere ricordati quello di Enrico Mauceri, che nel 1910 pubblicò Due volumi di disegni di Filippo Paladino, con numerose, illuminanti illustrazioni, e quello di Severina Calascibetta (Filippo Paladino, 1937).

Nuove ricerche scaturirono dalla grande mostra retrospettiva allestita a Palermo nel 1967. Nel 1986, Maria Grazia Paolini portò contributi in parte inediti nella monografia all'interno del catalogo della grande mostra dedicata al Seicento fiorentino. Tra gli studi più recenti, ricordo Filippo Paladini - un manierista fiorentino in Sicilia di Sergio Troisi, (Kalòs, Arte in Sicilia, 1997), e "Un genio vagante... in giro nella Sicilia" - Filippo Paladini e la pittura della tarda Maniera nella Sicilia centrale" di Paolo Russo (Edizioni Lussografica 2012), dai quali ho attinto a piene mani per preparare l'incontro, mentre ho più di un debito di gratitudine nei confronti di Ludovica Sebregondi di cui ho consultato diversi testi, alcuni da lei fornitimi personalmente. 

Filippo di Benedetto di Gregorio di Paladino nacque in data imprecisata, un tempo fissata al 1544, oggi secondo molti storici da posticipare all'incirca di un decennio. La sua formazione fu rigorosamente fiorentina, anche se - tanto per cambiare - non si conosce il suo maestro. Voglio dire, non si sa chi è stato a mettergli il pennello in mano. Non poteva non risentire dell'influenza dell'allora dilagante manierismo, anche se, ribadisco ancora una volta, definirlo 'solo' un manierista è per me riduttivo. 

Paladini non possedeva il genio prorompente di Michelangelo Merisi, ma aveva un talento straordinario. I loro rapporti furono artisticamente più stretti di quanto non si pensi. Paladini era abbastanza intelligente per comprenderne la genialità ed esserne influenzato, e troppo intelligente per limitarsi a scopiazzarlo. Ecco perché ho voluto dare questo titolo all'incontro: quasi un altro Caravaggio.
Si è ipotizzato che i due artisti si siano anche conosciuti di persona. Non è improbabile. Nel 1608 Caravaggio realizzò la grandiosa Decollazione a Malta, e Paladini la vide sicuramente nello stesso anno. Ma non ci sono documenti né testimonianze, e il Susinno, che non si risparmiò nel narrare episodi aneddotici, non ne fa cenno. Scrive però, nella biografia del Caravaggio: 

Un giorno andò a visitare li quadri che sono nella basilica di S. Maria di Gesù [a Messina], fra quali osservandone alcuni del prenarrato Cattalani, colla solita satira diessi a celebrare una tela fra quelle di Filippo Paladino fiorentino e pittore raffaellesco come sopra si è detto. In essa si rappresenta la Vergine in gloria con al di sotto S. Antonio da Padova e S. Caterina vergine e martire, figure amendue in piedi. La satirica lode fu questa: Or questo è quadro e l'altre tele son carte da gioco, intendendo così rovesciare la vaghezza del Cattalani, perché il Caravaggio valevasi dei quell'ombre gagliarde che nel Cattalani non si osservano, essendo un altro stile oppostissimo: uno troppo delicato e dolce, l'altro troppo aspro e fiero.


Al di là della sua autenticità, l'episodio può essere ad ogni modo indizio di una stima reciproca tra Michelangelo e Filippo. Di Antonio Catalano detto l'Antico (1560?-1604?), artista come s'è visto inviso al Caravaggio ma ad esempio ammirato da Mattia Preti, ho potuto al momento rintracciare sul web solo l'Andata al Calvario qui sopra.

Lo stile di Filippo Paladini risentì dell'incontro con Michelangelo Merisi a paratire dal  1608, ma non al punto di esserne stravolto. Seppe invece modularlo, proseguendo un percorso già precedentemente iniziato, che si allontanava dalla maniera per dirigersi verso un naturalismo solenne ma essenziale, e che rimase inconfondibilmente fiorentino. Una fiorentinità che neanche Caravaggio scalfì. In definitiva, il vanto di Filippo Paladini rimane, seppure con, chiamiamoli così, gli arricchimenti caravaggeschi, quello di aver portato Firenze in Sicilia. E i siciliani apprezzarono. Già prima del suo arrivo, specialmente grazie all'attività degli ordini religiosi, in particolare i frati Cappuccini, c'era stato un intenso traffico di opere toscane verso l'isola, come l'Adorazione dei pastori di Alessandro Allori, che vedete qui sotto (1578, Duomo di Carini). Ora però avevano un artista fiorentino in casa, e non si lasciarono sfuggire questa fortuna, che peraltro seppero gestire nel migliore dei modi.


Un elenco dei luoghi in cui Paladini lavorò risulterà per forza incompleto, se si tiene presente che parecchie sue opere sono andate distrutte da terremoti, eventi bellici, furti, incuria. Lavorò a Siracusa, Scicli, Modica, Vizzini, Caltagirone, Castrogiovanni, Calascibetta, Piazza Armeria, Palermo, Enna. 

Si firmò sempre Philippus Paladinus florentinus, dimostrando come e quanto la sua origine era per lui motivo di orgoglio e di vanto. 

Non ho voluto inserire immagini di opere di Filippo Paladini in questo post. Ne mostrerò una quantità durante l'incontro. Spero di aver risvegliato un po' di curiosità in chi legge. L'appuntamento è a Villa Poggio Reale alla Rufina, domenica 20 maggio alle 16.30. 




sabato 5 maggio 2018

GABBATO LO SANTO 13: il mistero di San Leolino



Di San Leolino, cui sono dedicate cinque chiese e furono dedicati almeno tre castelli, nulla si sa e molto si ipotizza. Restano un antifonario consunto e un sigillo. Le chiese, di cui quattro pievanie, tutte antichissime e concentrate in un'area ben circoscritta, sono a testimoniare la storicità del personaggio. Il sigillo, conservato al Bargello, proviene dal piccolo Comune di San Lorino, o Leolino, documentato dal 1531 al 1739, e il cui territorio dal 1776 fa parte del Comune di Londa.  L'antifonario, come vedremo, fornisce pochi indizi, a tratti variamente interpretabili. Chi fu di preciso San Leolino, o Leonino; come visse, come morì e perché fu canonizzato, non si è mai riusciti a saperlo con certezza.
Di santi con questo nome ce ne sono stati tre, il che ha ulteriormente complicato le cose. Si chiamava così l'undicesimo Vescovo di Padova. Ne guidò la diocesi dal 736 al 748, e gli fu intitolata nella sua città una chiesetta non distante dalla Basilica di S. Giustina, da secoli demolita, ma che si scorge al centro della mappa qui sotto, risalente al 1767.


Leolino fu anche il nome di un Vescovo e martire la cui salma fu rinvenuta nelle catacombe di S. Priscilla, sulla Salaria a Roma; un San Leolino viene ricordato dai Bollandisti come Vescovo e martire, celebrato nel mese di novembre. Il nostro Santo si può identificare con il terzo.

Già Francesco Orlandi nell'Orbis sacer et prophanus illustratus (1732) ammette di non essere riuscito a rintracciare gli acta di questo santo. Non ne parlano gli storici, da Giovanni Villani a Scipione Ammirato, né autori come Silvano Razzi o Ferdinando Ughelli. L'erudito Luigi Biadi pensò bene di unire tre Santi in uno, e raccontò la storia di Leolino vescovo nato a Padova, che andò a evangelizzare la diocesi di Fiesole ove sorsero le chiese a lui dedicate, a Roma fu martirizzato mentre una gran croce apparve nel cielo del villaggio di Sereto (vedremo poi perché) e il suo corpo fu sepolto nelle catacombe di S. Priscilla!

Il sigillo come compare nelle Vite dei Santi del Brocchi

Il vescovo padovano non ebbe però la qualifica di martire, e i resti romani furono rinvenuti solo nel XVI secolo, sicché né l'uno né l'altro possono essere in alcun modo riferiti al titolare delle cinque chiese toscane, ben più antiche. Elenchiamole rapidamente.

  1. San Leolino in Monte, nel Comune di Londa, nominata per la prima volta in una memoria del 1100.
  2. San Leolino a Rignano sull'Arno, esistente almeno dal 1035.
  3. San Leolino a Panzano, nel Comune di Greve, col nome di San Leolino a Flacciano è documentata fin dal 982.
  4. San Leolino in Val d'Ambra, nel Comune di Bucine, l'unica chiesa che in origine non era Pieve, fu 'promossa' tale nel 1764.
  5. San Leolino in Conio o in Collina (foto d'apertura), nel Comune di Castellina in Chianti, compare per la prima volta nella Bolla di Papa Pasquale II emessa nel 1103.


La Pieve di San Leolino in Val d'Ambra è nella diocesi di Arezzo, ma è molto vicina al confine con quella di Fiesole, cui in antico sono appartenute le altre.
L'antifonario fu ritrovato nel 1712 nella Pieve di S. Leolino in Val D'Ambra e trascritto da Monsignor Benedetto Falconcini Vescovo d'Arezzo, pubblicato per la prima volta dal già citato Orlandi  e ripreso dal Brocchi (Vite dei Santi e Beati Fiorentini, vol. 2, 1752) e dal Lami (Sanctae Ecclesiae florentinae monumenta composita et digesta, 1758). 
Il testo dell'antifonario è frammentario e in molti punti illeggibile. Trascrivo più fedelmente possibile dall'Orlandi:

.........In Vigilia Sancti Leonini ad Psalm. Antiphona. 
Videns gens Siritanorum dicentes clamaverunt magnus est 
Chirstianorum Deus, et crediderunt. 
Psalm. Dominus regnavit. 
Jussit feriri gladio Maximianus canis non credens Dei filio ..............................
Psalm. Jubilate. 
Erant Angeli currentes in coelorum nubibus animas suscipientes ferendo coelestibus. 
Psalm. Deus Deus meus. 
Dum ferveret....................................Mortis Sancto crux imprimitur.
.............................................
illaris.............................................................................................
Praesul. 
Ad secundas Vesperas Antiph.
 Magnificat. 
Spretis furiis Tyranni atque cruciatibus ad supernam transit agni coenam cum Martiribus, fac confortes regni tanti nos cum suis civibus. 
In die S. Leonini Introitus. 
Sacerdotes Dei benedicite Dominum, &c. Benedicite omnia opera Domini Domino , &c. 
Gloria. Grad. 
Inveni David servum meum, &c. Nihil proficiat inimicus in eo, &c. 
Alleluia. Profuisti Domine super caput eius, &c. 

Offert. Veritas mea, et misericordia mea, &c. 

Communio. Beatus servus, quem 

cum venerit Dominus, &c.


Ho riportato in grassetto i termini significativi. Si tratta dunque della liturgia per la festa di San Leolino, che si celebra(va) il 24 novembre. Abbiamo a che fare con un Vescovo (praesul) che predicò presso la gens Siritanorum, e per questo fu martirizzato, forse decapitato insieme con altri compagni (come suggerito dal termine animas al plurale), da(i soldati di) Massimiano (jussi feriri ecc.), che fu socio dell'imperatore Diocleziano tra il 292 e il 302. Probabilmente quando fu ucciso comparve una croce in cielo (Sancto crux imprimitur) che convertì gli astanti.
Quel gens Siritanorum complica, tanto per cambiare, le cose. Biadi lo collegò al villaggio di Sereto, in realtà un casolare presso Cavriglia (AR), ove però il culto di San Leolino non è mai stato praticato. Falconcini sostenne che si trattasse di un errore grafico, e che si dovesse leggere Sivitanorum. Si tratterebbe di un riferimento alla gente della Sevis, o Sivis: insomma, della Val di Sieve.

La rocca di San Leolino in Monte, presso Londa
Si può ragionevolmente dedurre che il martirio fosse avvenuto in prossimità della Pieve di San Leolino in Monte, situata nel Comune di Londa, appunto in Val di Sieve? Forse, ma non è documentato. E confesso: mi sembra un tantino tirata per i capelli. Però non saprei, nel mio piccolo, suggerire soluzioni alternative. L'ipotesi conseguente è che la salma di San Leolino si trovi nella Pieve o nei dintorni, ma non è mai stata rinvenuta. Il Brocchi, nelle sunnominate Vite dei Santi, fa anche un clamoroso ruzzolone. Scrive:

...detta ancor essa di S. Leolino, e corrottamente di S. Lorino, forse perché chiamandosi anticamente, come si vede da alcune Bolle riferite dall'Ughelli (e specialmente da quella di Pasquale II) la detta chiesa di S. Leolino in Monte Lauro, da tal parola può facilmente il popolo avere poi preso il nome di Laurino, e corrottamente Lorino.

Brocchi si è confuso con la Pieve di S. Giovanni a Monteloro, che non ha nulla a che fare col nostro Santo. In realtà il monte non si chiama affatto Lauro. Non ha neanche un nome. E infatti la Pieve si chima S. Leolino in Monte.
Di fronte la Pieve si scorge ancora quello che resta della rocca o Castello di S. Leolino, appartenuto ai Conti Guidi di Poppi e di Battifolle. 
Dei Conti Guidi, e prima ancora dei Quona, fu anche il Castello di S. Leolino, oggi del tutto scomparso, a poca distanza dalla omonima Pieve a Rignano sull'Arno, a sua volta nei pressi dell'unico (in antico) ponte sull'Arno a monte di Firenze, dunque punto fondamentale per il controllo del territorio.
Il castello di S. Leolino in val d'Ambra, invece, è ancora ...vivo e vegeto nella sua conformazione originale, in cui si inserisce la chiesa un tempo suffraganea della Pieve di S. Quirico e Giulitta a Capannole. Il fatto che anche questa rocca sia appartenuta ai Guidi (di Modigliana) può far pensare che questa famiglia sia stata devota del Santo e abbia contribuito alla diffusione del culto.

San Leolino a Rignano

L'ipotesi fa parte di una serie di conclusioni cui giunse don Umberto Ricci (1881-1944), che fu proposto della Pieve di S. Leolino a Rignano dal 1914 fino alla sua dipartita, al termine di una ricerca accurata e appassionata sul Santo, da lui riassunta in un dattiloscritto del 1938.
Ricci affermò con forza la reale esistenza di Leolino, il cui nome non compare negli odierni martirologi: 

Poteva ripetersi per ben cinque volte il fatto di erigere e dedicare una chiesa parrocchiale ed in più plebanale ad un santo in secoli, sia pure anteriori al 1000 e d'indiscussa decadenza culturale e disciplinare, nei quali esisteva pure una gerarchia ecclesiastica diocesana, ben determinata, senza che questa ne venisse a cognizione? (...) Mancavano dunque nomi nel catalogo dei santi, cui dedicare cinque chiese, per essere costretti a costruirsi di sana pianta e colla massima disinvoltura un San Leolino e circondarlo, per effetto di pura fantasia, dell'aureola del martirio e dell'episcopato?


San Leolino a Panzano
Le dislocazioni delle chiese nell'area fiesolana consentono a Ricci di identificare Leolino come un corepiscopus, ovvero un vescovo itinerante come ne esistevano in antico, o più probabilmente uno dei primi vescovi fiesolani, i cui nomi sono ignoti fino al IV secolo: "Quale contraddizione cronologica, quale assurdità storica ci vieta di porre il nome di san Leolino, che appartiene al III sec., nel lungo e oscuro periodo dei primi quattro secoli sopra ricordati?"
Studi più recenti a cura di Bernardo Zanchini da Castiglionchio sembrano spostare la diffusione del culto ancora più indietro nel tempo, dai Quona fino alle famiglie longobarde. Il che non sminuisce il valore del lavoro di don Ricci, il cui intento, oltre che di ricostruirne la storia per quanto possibile, era di ottenere "che il culto di san Leolino, riconosciuto e ammesso come legittimo da oltre un millennio per cinque chiese, sia proclamato egualmente legittimo per l'intera suddetta illustre diocesi [di Fiesole], che gode oggi i frutti spirituali delle sue eroiche e salutari fatiche"

Il suo dattiloscritto è stato pubblicato integralmente nel 2000 dalle Edizioni Feeria - Comunità di San Leolino, con introduzione e note a cura di Alberto Maria Fortuna. Ne ebbi una copia grazie alla gentilezza di Don Carmelo Mezzasalma, che a distanza di qualche anno ringrazio nuovamente. 
La Comunità intitolata a questo Santo è stata fondata da Don Carmelo (al cui confronto l'Etna pare un fornello da campeggio) nel non troppo lontano 1986 e ha sede nella Pieve - ça va sans dire - di San Leolino, a Panzano. Come potete vedere sul sito e sulla pagina Facebook, la sua attività religiosa e culturale si svolge su parecchi fronti, è in continua espansione e implicitamente contribuisce alla conoscenza del nome del Santo. Da pochi mesi ha preso in consegna, dopo l'addio dei Cistercensi, la gestione della Certosa di Firenze.