mercoledì 28 novembre 2018

Maurizio Biagi: evoluzione di un artista



Maurizio Biagi vive all'Impruneta (FI) dall'età di 4 anni, quando la sua famiglia vi si trasferì da Greve in Chianti. Era il 1953. Una grande famiglia di mezzadri: sotto lo stesso tetto vivevano in dieci, fino al suo biscugino. Il piccolo Maurizio fece amicizia col coetaneo figlio del padrone. Me ne parla all'indomani della partenza da questo mondo di Bernardo Bertolucci, e non è possibile non ripensare a Depardieu e De Niro in Novecento. "Da bambini le differenze, di qualunque genere, non si sentono." chiosa. Ma, cresciuto, Maurizio cerca una strada diversa da quella familiare. Lavora per 6 anni alle fornaci dell'Impruneta, poi trova un impiego alla Manetti & Roberts, ove rimane fino alla pensione. 


Il talento e l'urgenza di creare, intanto, bussano alla sua porta fin dall'inizio degli anni '70. Extra lavoro, produce ceramiche, partecipando a mercatini. Finché non sorge il Gruppo Pittori Imprunetani, in seguito il gruppo Art Art di cui oggi è consigliere, e che lo vedrà sin dall'inizio tra i suoi protagonisti. È degli stessi anni l'incontro con Gianfranco Mello. "Di estrazione ben diversa dalla mia" racconta Maurizio. "Era figlio d'arte, il babbo era stato un importante scenografo teatrale, e lui aveva già esposto anche negli Stati Uniti, mentre io ero agli esordi e venivo da una famiglia contadina. Ma anche in questo caso, come fossimo stati ragazzi, nessuno dei due sembrò accorgersene. Si interessò ai miei lavori. Apprezzava, diceva, il mio spiccato senso del colore. Lavorammo insieme, andavamo a dipingere en plein air. Ho imparato tantissimo da lui, e non solo sul piano strettamente pittorico, ma anche su quello umano e filosofico. Finché mi raccomandò di camminare con le mie gambe e seguire la mia strada".

Questa strada conduce Maurizio a una serie di partecipazioni a esposizioni in compagnia di alcuni dei nomi più attivi e celebri a cavallo tra anni '80 e '90. Una soddisfazione la ebbe quando fu tra i segnalati del Premio Pittura di Panzano 1983, vinto da un artista del calibro di Ugo Attardi. La sua prima personale, nel 1986, ebbe la presentazione di Carmelo Mezzasalma, oggi Superiore di quella Comunità di San Leolino che da dicembre 2017 gestisce fra l'altro la Certosa fiorentina. Scrisse tra l'altro Mezzasalma:

Perché la pittura di Maurizio Biagi non nasconde le metafore dell'esistenza, le piaghe del vivere, l'acuto grido della carne: il ritmo del suo canto e il colore che si dispone nell'esatta e cangiante metamorfosi di quel presente l'accende e lo placa nell'intrecci d'un movimento così fisso e mosso al contempo da non tradire mai il fondo della sua espressione. Quel fascio di ginestre, nell'improbabile e pallido cobalto del cielo, nasce da un groviglio di radici naufragate nello spazio profondo e senza nome che rimanda, per opposizione, nell'immobile presenza dell'astro teso a racchiudere le avvolte penombre della natura, una natura della mente e dei sensi.

Il 1990 sarà forse l'anno d'oro per Maurizio: parteciperà alla mostra di affreschi su cotto nella Sala d'Armi Buondelmonti all'Impruneta, e alla 17^ Rassegna sestese di pittori grafici scultori. Esporrà insieme con artisti quali Silvio Loffredo, Enzo Faraoni, Gualtiero Nativi, Vinicio Berti, Sergio Scatizzi.
Maurizio mi porge il catalogo di una mostra dal titolo Pittori e scultori imprunetini, senza data, e neanche lui la ricorda con precisione. Devono essere gli stessi anni, e sfogliandone le pagine mi rendo conto una volta di più di quanto la vita artistica in provincia sia (sempre stata) viva e ricca di idee, non di rado innovative e stimolanti. Non tutto è naturalmente dello stesso livello, ma non c'è da sorprendersi se l'attività del gruppo Art - Art è dal 2005 addirittura frenetica, e nel relativo sito vi sono le galleries di - salvo errore - 71 Autori tra pittori, grafici, scultori e fotografi.

Il Nuovo iter 

Allo scadere del millennio Maurizio Biagi attraverserà un momento di crisi artistica. "Dal 2000 al 2010 ho prodotto poco, e pensato tanto. Da un lato, il figurativo mi era diventato stretto." E mi mostra Nuovo iter, dipinto che fece per lui da spartiacque. Mi torna alla mente il Primo acquerello astratto di Kandinskij, ma lui si schermisce, e continua: "Dall'altro, avevo iniziato una riflessione sul secolo appena terminato. Questo secolo in cui gli artisti si erano definitivamente liberati dal vincolo della produzione su commissione. Questo secolo che aveva prodotto l'informale, la pop art, lo spazialismo, l'action painting, il materico... te li dico alla rinfusa, ma sono tutti stili dopo la cui comparsa non ci si può più permettere di dipingere come duecento anni fa. Il mio intento, forse un po' ambizioso, era diventato quello di trovare una forma stilistica che racchiudesse, che sintetizzasse tutto il '900, almeno attraverso e secondo la mia visione."

Maurizio Biagi e i suoi monocromi all'Impruneta. Foto di Enzo Correnti

Una ricerca, dunque, preparata da anni con cura, riflessioni e continui ripensamenti, ma iniziata realmente intorno al 2012, e che prosegue tuttora. In modo del tutto naturale, quasi come in una dissolvenza incrociata, lo stile di Maurizio è approdato all'informale. Lo spiccato senso del colore di cui parlava Mello, oltre a una continua e autentica meditazione sul pigmento, ha originato le sue opere monocrome. "Sul cotto è possibile fissare il pigmento puro, senza bisogno di solventi. Ci pensi? Pigmento, nient'altro che pigmento. Colore, nient'altro che colore." Ed ecco i monocromi che in certe sue installazioni sembrano talvolta atomi di un organismo di proporzioni immense. Atomi. Elementi base. Punti di partenza. Mentre i suoi affreschi ci parlano, volendo proseguire la similitudine, di molecole. Più o meno complesse. Che diventano, su grandi superfici, altrettanto grandi molecole organiche. Punti d'arrivo? Non ancora. Il viaggio di Maurizio è ancora lungo e, nonostante le numerose, splendide tappe compiute, promette nuove mete.


Nel gennaio 2018 Maurizio, insieme con Manila Bennati e la collaborazione dell'architetto Rosy Goia, ha allestito la mostra Living d'autore, alla Roccart Gallery di Via delle Ruote a Firenze. Ecco cosa dichiara per l'occasione: “In questo contesto oltre a presentare i miei monocromi realizzati con pigmento puro, introduco anche il nuovo ciclo delle scritte sui muri: isolando una parola o una frase su un frammento di muro intendo ridare a loro il giusto peso e significato in un mondo affollato di immagini e parole.”

Maurizio accanto a una sua opera, con Susi La Rosa
E, mentre pensa alla sua prossima personale, "tutta ancora da concepire. Volevo allestire una mostra a tema, ci sto pensando. Te ne parlerò...", Maurizio ha creato una sorta di opera natalizia, usando una tecnica sfruttata non di rado in passato, il collage. Ne sta preparando un'altra per una collettiva, sempre alla Roccart Gallery. Un apparente disimpegno, ma la cura cromatica con cui è realizzato ne rende l'autore immediatamente, e inequivocabilmente, identificabile. 




sabato 10 novembre 2018

Futuristi in chiesa?!?


Davvero: Futuristi in chiesa! Vi aspetto la sera del prossimo sabato 24 novembre nell'Oratorio di S. Omobono - di fronte la Pieve - a Borgo S. Lorenzo, dove io e la mia amica Marilisa Cantini racconteremo la vicenda del Futurismo e di alcuni suoi protagonisti.
Dice: ma i Futuristi non mandavano bestemmie da far venir giù i lampadari? Eccome! Si 'deve' a Filippo Tommaso Marinetti (sotto), nella sua opera Gli amori futuristi - programmi di vita con varianti a scelta (1922), a pagina 108 la prima bestemmia stampata nella storia della letteratura italiana. Che non rimase certo l'unica.


Per di più, Marinetti parlava di svaticanizzazione dell'Italia, progetto preso in consegna dal fascismo delle origini. Né fu il solo del gruppo a non nutrire particolare simpatia nei confronti della Chiesa, e della religione in generale. Nondimeno, le vicende umane di alcuni esponenti del movimento futurista ebbero sviluppi inattesi e poco noti. Ve ne parleremo. 
Sarà poi l'occasione per superare alcuni cliché di cui il Futurismo è ancora prigioniero, e con i quali viene per lo più liquidato da chi, dopo averlo studiato al liceo, non se ne occupa più. È accaduto anche al sottoscritto. 

Nel 2007, alla Fiera del Libro di Torino, Umberto Eco tenne una straordinaria lectio magistralis dal titolo Le avventure di un bibliofilo. Potete leggerne la trascrizione integrale (se lo fate, poi mi ringraziate!) a questa pagina. Sul finire, elenca tutta una serie di epiche cantonate prese da sedicenti esperti riguardo autori, artisti, musicisti e quant'altro, e che saranno in seguito clamorosamente smentite. Nomi illustri compresi: Virginia Woolf in una lettera stronca l'Ulisse di Joyce, Ciaikowskij definisce Brahms un bastardo privo di qualità. Poi Eco dice:

Finiamo con una sola citazione dallo show business. Un dirigente della Metro, dopo un provino di Fred Astaire, nel 1928: “Non sa recitare, non sa cantare ed è calvo. Se la cava un po’ con la danza.” Che poi, a pensarci bene, non era del tutto sbagliato. Eppure era un errore. 

Allo stesso modo i Futuristi vengono ricordati dai più come un gruppo di facinorosi arroganti e maneschi, che volevano distruggere il passato, la grammatica, i musei e le biblioteche, erano dei guerrafondai e diventarono tutti fascisti. Anche in questo caso, a pensarci bene, non è del tutto sbagliato. Eppure è un errore. 
Perché si tratta di un errore contiamo di farvelo comprendere in S. Omobono. Non solo: su parecchi siti e non pochi libri, anche di notevole livello, si legge che il Futurismo è stata la prima avanguardia artistica italiana. Vi spiegheremo perché questa va considerata un'autentica boiata.
Alla fine della storia, sarà chiaro che parlare di Futuristi in chiesa, anche se a quanto ne so non ci aveva ancora pensato nessuno, ha una sua logica, e neanche tirata per i capelli. Al contrario.
Il racconto avrà un nutrito supporto di immagini, di letture e di musica, quest'ultima naturalmente suonata da Marilisa. Tranquilli: la musica non sarà eseguita con l'intonarumori, un ingombrante marchingegno inventato e usato negli anni '10 del XX secolo da Luigi Russolo. 

Russolo (coi baffi) e il suo intonarumori nel 1920 (Wikipedia)
Il Comune di Borgo S. Lorenzo patrocinerà l'evento. Un ringraziamento particolare va alla Cama Ascensori di Borgo S. Lorenzo per la sponsorizzazione.  Il ricavato della serata finanzierà il restauro dell'Organo Secentesco Stefanini. L'appuntamento è dunque per sabato 24 novembre alle ore 21 nell'Oratorio di S. Omobono a Borgo S. Lorenzo. Io e Marilisa vi aspettiamo!

Io e Marilisa in una foto scattata da A. Giovannini al Museo di Vicchio nel 2013







venerdì 2 novembre 2018

Primo Conti secondo Niccolò Niccolai


Il prossimo 12 novembre saranno trent'anni esatti da che Firenze e il resto del mondo sono senza Primo Conti. Nato il 16 ottobre 1900, il babbo l'aveva chiamato Umberto Primo, scosso dall'assassinio del sedicente Re buono. Umberto poi si perse per strada e rimase Primo Conti, musicista, scrittore, poeta, pittore. Fiorentinaccio. Uomo del Rinascimento nato nel '900, insomma. Anche se per la sua intera, lunga esistenza è rimasto prima di tutto, e fino al midollo, un pittore. Di questo è certo il mio amico Niccolò Niccolai. Gli credo, dato che Niccolò (nella foto d'apertura) è stato un allievo di Conti, e instaurò con lui una grande amicizia. Ed è stato Niccolò a farmi da guida alla grande e bellissima mostra (andateci!) dal titolo Fanfare e silenzi - viaggio nella pittura di Primo Conti, nella parte allestita a Villa Bardini - una seconda è alla Fondazione Primo Conti a Fiesole, una terza nella Sala del Basolato sempre a Fiesole, e tutt'e tre saranno aperte fino al 13 gennaio -, curata da Susanna Ragionieri e della quale Polistampa ha realizzato uno splendido catalogo. 

Vecchio dal turbante bianco, 1913 (!)
Niccolò conobbe Conti nel 1967. All'epoca, avere 67 anni voleva dire essere anziani. Primo Conti, anziano ma non domo, continuava allora imperterrito sul suo percorso. Un percorso iniziato quando, tredicenne, si presentò in pantaloncini corti all'Esposizione futurista di Via Cavour a Firenze. Era il novembre 1913. Attirò inizialmente le ironie e gli sberleffi degli espositori. Ironie e sberleffi che svanirono d'incanto quando questi iniziò a parlare, espose i suoi pareri, si mise a discutere con loro e, testimoniò Aldo Palazzeschi, pareva davvero Gesù fra i dottori. Li trascinò allo studio che già aveva in Via dei Della Robbia, e rimasero senza fiato nel vedere sul cavalletto il Vecchio dal turbante bianco. Divenne amico di tutti gli esponenti del futurismo, e di tutti conobbe e seguì le vicende umane e artistiche.

Marinaio ubriaco, 1919
Avrebbe poi detto a Niccolò della sua sensazione di essere stato allora un vecchio pittore che si era reincarnato in un bambino. E di essere tornato, in là con gli anni, alla ricerca di certe intensità e slanci che caratterizzarono la sua adolescenza. Conti, poi, si può dire che incontrò esponenti di tutte le avanguardie che hanno dominato il secolo da lui attraversato.  Il suo stile fu di volta in volta cézanniano, fauve, cubista, futurista, espressionista, metafisico, surrealista, dada, informale. Ciononostante, salvo errore, non ricordo di aver mai incontrato, nei testi da me consultati che parlano di lui, l'aggettivo eclettico. Perché non lo era.

Giotto e Cimabue, 1923
Dice Niccolò: "Conosceva bene il suo valore, e tuttavia aveva una grande umiltà, anche nei confronti degli altri artisti. Da tutti quelli che conobbe, e furono tanti - non solo pittori, ma anche scultori, architetti, registi, musicisti, scrittori, poeti -, seppe assorbire qualcosa. Era poi un lettore accanito e attento. Era insomma una spugna, e tutto ciò che percepiva e acquisiva andava ad arricchire il suo stile. Che restava suo. Guarda il Marinaio ubriaco, del 1919. Ci puoi trovare le tracce di Ottone Rosai, di Lorenzo Viani, il cubismo, il futurismo. Ma fai la sommatoria e ottieni ineluttabilmente Primo Conti. Guarda Giotto e Cimabue, del 1923. C'è ancora Rosai, vi si individua un'eco del Picasso del periodo Ingres, siamo calati in un'atmosfera  metafisica dominata però da una sorta di monumentalità che ancora si rifà al Rinascimento. Ma fai la sommatoria e ottieni ineluttabilmente Primo Conti."


Oltre la notte, 1976; Partire di sera, 1971; Luna blu, 1984; Grande figura seduta, 1966

Niccolò Niccolai ha avuto la fortuna di vedere Conti al lavoro. Molte delle opere esposte nella sala dei dipinti estremi le ha viste nascere. "La sua gestualità conservava una grande capacità di struttura disegnativa proveniente dalla tradizione fiorentina che si può far risalire al '500. Si alzava la mattina presto per riproporre i colori dell'alba. Ne otteneva delle opere non figurative, non materiche, non informali, che erano come delle Maestà. Maestà laiche. Ma il suo sentimento nei confronti del fenomeno fisico dell'alba era religioso!"

Veronica, 1931
Continua Niccolò: "Poneva al centro della tavolozza uno strato di olio di lino, e i colori ai lati. Mescolando volta a volta colori e olio, poteva dipingere con quella maggiore fluidità che rende i suoi dipinti inconfondibili. Si rimise in gioco a 70 anni e divenne amico di Rauschenberg, che dipingeva usando scope di saggina a mo' di pennelli. Primo continuò a usare i suoi pennelli, non potendo dimenticare il suo passato e le sue radici, ma il modo di usarli, diciamo così, tenne da allora in considerazione anche le scope! Conti non ha mai dimenticato né rinnegato nulla. Voglio dire che il futurismo se lo è portato dietro per tutta la vita. Ne trovi traccia nelle opere della 'vecchiaia', così come nella Veronica (1931): d'accordo, è un soggetto religioso. Ma la reminiscenza futurista c'è: è nella veste della donna in basso a destra. Se invece le circostanze esigevano quella somiglianza che non era nelle sue corde, nondimeno lui non si tirava indietro. Guarda questo ritratto di Luigi Pirandello, del 1928. E ne vidi un altro sempre di Don Luigi, che non è in mostra, e a mio parere è ancora più bello." Se possibile, aggiungo io.

Luigi Pirandello, 1928