Il mio amico Vincenzo Nobile colpisce ancora. Nel giugno 2017, nel Salone Donatello della Basilica di San Lorenzo a Firenze, la Nag-Art di cui egli è deus ex machina aveva allestito la mostra Il cammino dell'uomo tra arte e fede - da Ugo Guidi a Igor Mitoraj, di cui avevo parlato in questo post, e che aveva avuto un successo ben oltre le aspettative. Quasi non se n'è ancora spenta l'eco, e Vincenzo torna a distanza di un anno, con una nuova collettiva. Stessa location, stessa filosofia artistica, stesso periodo d'apertura - chiude il 24 giugno salvo proroghe -, titolo diverso: Presenze nell'arte contemporanea - emergenti del XXI secolo e maestri del XX secolo.
Ottone Rosai, Strada e case |
"In
sostanza" mi racconta Vincenzo "ho detto agli artisti: stavolta non c'è un tema. Esprimetevi come ritenete opportuno nell'intento di lasciare una
traccia di voi per il futuro. Ma tenete presente che siete nella cripta
di una delle chiese più belle del mondo, e che vi confronterete con le
opere di cinque giganti del Novecento: Annigoni, Carrà, Guttuso, Rosai, Sironi!"
In fondo al corridoio d'entrata (foto d'apertura) spicca, quasi un ideale filo di collegamento con l'esposizione dell'anno scorso, la sbalorditiva versione piccola de L'Ultima Cena di Sauro Cavallini, circondata da altri suoi dipinti.
Sulla
parete laterale del corridoio medesimo, si lasciano ammirare le opere
dei sopra citati Maestri, quasi guardiani dell'epoca cui seppero dare il
loro contributo estetico talora influente, talora determinante.
Nelle sale, opere di pittura, scultura, fotografia elaborata, tecniche
miste. Non più di un paio le installazioni, con molto senso della misura
e prive di invadenza. Nessuna concessione alla magniloquenza e alla retorica. Sul risvolto del catalogo curato da Silvia L. Matini è lo stesso Nobile a scrivere:
Il nostro intendimento è di mostrare al grande pubblico che è ancora possibile parlare di bellezza dell'arte nel senso classico del termine per narrare, commemorare e denunciare utilizzando il linguaggio della figurazione o dell'astrazione a seconda dei propri convincimenti culturali.
Vogliamo mostrare opere di pittura e scultura evitando il 'gigantismo' e le 'animazioni psichedeliche che a volte risultano di gusto alquanto discutibile.
La creazione artistica, dunque, in tutte le sfumature che dal figurativo sfociano nel materico. La creazione artistica prodotta da tutte le generazioni. La creazione artistica di quasi tutti i continenti. Sono tre possibili binari su cui condurre la visita, ma tre binari del tutto svincolati l'uno dall'altro.
Il figurativo è tornato a vivere, e non costituisce più un tabù come qualche decennio fa. Visto e vissuto, s'intende, con altri occhi, come quelli di Alessandra Benini. Le sue Amorose (sotto), da Silvia Matini definite botticelliane, sembrano a chi scrive afferrare al volo anche il testimone lasciato da Annigoni. Per inciso: quanti critici d'arte dovrebbero chiedere scusa a quest'ultimo, seppure tardivamente?
Figurativi rarefatti ed evanescenti sono i villaggi di Arnaldo Marini (1952) che quasi raccolgono una sorta di sfida lanciata dal Guttuso qui esposto.
Renato Guttuso: Terrazzino e tetti alla Kalsa |
Arnaldo Marini: L'ultimo villaggio |
Nelle elaborazioni della francese Yasmina Barbet (1973) si assiste quasi a una dissolvenza incrociata, che conduce verso la dissoluzione dell'immagine e l'approdo al (quasi) astratto di Lorenzo D'Angiolo (1939), all'astratto e suggestivo brulicare di colori di Luisella Traversi Guerra (1944) e al materico puro di Caterina Ruggeri (1956).
Yasmina Barbet: Divine Creation |
Caterina Ruggeri: CR467 |
La forte tonalità blu dei dipinti di Caterina (la foto non rende sufficientemente l'idea) mi aveva fatto pensare che si fosse servita, per realizzarli, del nuovo pigmento scoperto in tempi recentissimi, come spiegato in questo articolo. Un avvenimento epocale, anche se passato quasi del tutto sotto silenzio. L'Artista mi ha spiegato che no, non si tratta di questo pigmento dal nome per ora tremendo: YlMn; bensì di una tonalità ottenuta con una tecnica complessa a partire da un pigmento trovato a Marrakesh.
Forse un po' meno eterogeneo, ma non per questo meno affascinante, il contributo della scultura, che parte dal già citato Cavallini (1927-2016) e vede artisti come Raffaella Robustelli (1939), Roberto Bricalli, classe 1959 (il cui Malleus Maleficarum rivisita certe soluzioni di Giuliano Vangi), la brasiliana Sylvia Loew, la turca Esin Çakir, in una continua ricerca di stilizzazioni espressive che non abbandonano mai del tutto la figura reale come elemento di partenza. Ciò è vero soprattutto per la giovane Cecilia Birsa, nata nel 1983, le cui opere, si legge, "sono caratterizzate dall'uso di pietre di epoca paleozoica: pietre di montagna e di torrente, mucronite, serpentino, quarzo e sienite"
La mostra può essere seguita secondo molti altri criteri, a seconda delle preferenze e della sensibilità di ognuno. Mi sono limitato ad alcuni spunti arbitrari, fedele all'ammonimento di Roberto Longhi secondo il quale non si può fare il riassunto di un elenco.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, aggirandosi per la cripta non si ha affatto la sensazione di anarchia. Al contrario, il senso di una certa unitarietà, nella molteplicità di proposte, domina i padiglioni. Globalità della creazione artistica, superamento delle avanguardie e dei movimenti (con relative scomuniche & anatemi), valore del contributo individuale per la crescita di tutti? Difficile dirlo. Auguriamocelo. E fa piacere rilevare che l'opera forse più sorprendente di tutta la mostra sia quella del partecipante più giovane. Anche in questo caso, le foto (sotto) possono dare solo un'idea parziale dell'installazione realizzata dallo spezzino Federico Montaresi, classe 1994. Attualmente "impegnato nello sviluppo di un progetto volto a unire le ultime frontiere della fisica teorica con l'espressione artistica", Montaresi ci spiazza e ci conquista con i suoi sette pannelli che sanno di cosmo, circondanti un curioso acquario a forma di clessidra nel quale nuota un pesce scuro, cui Vincenzo Nobile provvede a dare quotidianamente da mangiare.
Forse un po' meno eterogeneo, ma non per questo meno affascinante, il contributo della scultura, che parte dal già citato Cavallini (1927-2016) e vede artisti come Raffaella Robustelli (1939), Roberto Bricalli, classe 1959 (il cui Malleus Maleficarum rivisita certe soluzioni di Giuliano Vangi), la brasiliana Sylvia Loew, la turca Esin Çakir, in una continua ricerca di stilizzazioni espressive che non abbandonano mai del tutto la figura reale come elemento di partenza. Ciò è vero soprattutto per la giovane Cecilia Birsa, nata nel 1983, le cui opere, si legge, "sono caratterizzate dall'uso di pietre di epoca paleozoica: pietre di montagna e di torrente, mucronite, serpentino, quarzo e sienite"
Sylvia Loew, Vita extraterrestre |
Esin Çakir, Awakening |
Cecilia Birsa, s.t. |
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, aggirandosi per la cripta non si ha affatto la sensazione di anarchia. Al contrario, il senso di una certa unitarietà, nella molteplicità di proposte, domina i padiglioni. Globalità della creazione artistica, superamento delle avanguardie e dei movimenti (con relative scomuniche & anatemi), valore del contributo individuale per la crescita di tutti? Difficile dirlo. Auguriamocelo. E fa piacere rilevare che l'opera forse più sorprendente di tutta la mostra sia quella del partecipante più giovane. Anche in questo caso, le foto (sotto) possono dare solo un'idea parziale dell'installazione realizzata dallo spezzino Federico Montaresi, classe 1994. Attualmente "impegnato nello sviluppo di un progetto volto a unire le ultime frontiere della fisica teorica con l'espressione artistica", Montaresi ci spiazza e ci conquista con i suoi sette pannelli che sanno di cosmo, circondanti un curioso acquario a forma di clessidra nel quale nuota un pesce scuro, cui Vincenzo Nobile provvede a dare quotidianamente da mangiare.
Federico Montaresi: Valtzer |
La mostra, cui si accede dal Chiostro di S. Lorenzo, è a ingresso libero, ed è aperta tutti i giorni con orario 10-17, la domenica 13.30-17.
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