venerdì 2 novembre 2018

Primo Conti secondo Niccolò Niccolai


Il prossimo 12 novembre saranno trent'anni esatti da che Firenze e il resto del mondo sono senza Primo Conti. Nato il 16 ottobre 1900, il babbo l'aveva chiamato Umberto Primo, scosso dall'assassinio del sedicente Re buono. Umberto poi si perse per strada e rimase Primo Conti, musicista, scrittore, poeta, pittore. Fiorentinaccio. Uomo del Rinascimento nato nel '900, insomma. Anche se per la sua intera, lunga esistenza è rimasto prima di tutto, e fino al midollo, un pittore. Di questo è certo il mio amico Niccolò Niccolai. Gli credo, dato che Niccolò (nella foto d'apertura) è stato un allievo di Conti, e instaurò con lui una grande amicizia. Ed è stato Niccolò a farmi da guida alla grande e bellissima mostra (andateci!) dal titolo Fanfare e silenzi - viaggio nella pittura di Primo Conti, nella parte allestita a Villa Bardini - una seconda è alla Fondazione Primo Conti a Fiesole, una terza nella Sala del Basolato sempre a Fiesole, e tutt'e tre saranno aperte fino al 13 gennaio -, curata da Susanna Ragionieri e della quale Polistampa ha realizzato uno splendido catalogo. 

Vecchio dal turbante bianco, 1913 (!)
Niccolò conobbe Conti nel 1967. All'epoca, avere 67 anni voleva dire essere anziani. Primo Conti, anziano ma non domo, continuava allora imperterrito sul suo percorso. Un percorso iniziato quando, tredicenne, si presentò in pantaloncini corti all'Esposizione futurista di Via Cavour a Firenze. Era il novembre 1913. Attirò inizialmente le ironie e gli sberleffi degli espositori. Ironie e sberleffi che svanirono d'incanto quando questi iniziò a parlare, espose i suoi pareri, si mise a discutere con loro e, testimoniò Aldo Palazzeschi, pareva davvero Gesù fra i dottori. Li trascinò allo studio che già aveva in Via dei Della Robbia, e rimasero senza fiato nel vedere sul cavalletto il Vecchio dal turbante bianco. Divenne amico di tutti gli esponenti del futurismo, e di tutti conobbe e seguì le vicende umane e artistiche.

Marinaio ubriaco, 1919
Avrebbe poi detto a Niccolò della sua sensazione di essere stato allora un vecchio pittore che si era reincarnato in un bambino. E di essere tornato, in là con gli anni, alla ricerca di certe intensità e slanci che caratterizzarono la sua adolescenza. Conti, poi, si può dire che incontrò esponenti di tutte le avanguardie che hanno dominato il secolo da lui attraversato.  Il suo stile fu di volta in volta cézanniano, fauve, cubista, futurista, espressionista, metafisico, surrealista, dada, informale. Ciononostante, salvo errore, non ricordo di aver mai incontrato, nei testi da me consultati che parlano di lui, l'aggettivo eclettico. Perché non lo era.

Giotto e Cimabue, 1923
Dice Niccolò: "Conosceva bene il suo valore, e tuttavia aveva una grande umiltà, anche nei confronti degli altri artisti. Da tutti quelli che conobbe, e furono tanti - non solo pittori, ma anche scultori, architetti, registi, musicisti, scrittori, poeti -, seppe assorbire qualcosa. Era poi un lettore accanito e attento. Era insomma una spugna, e tutto ciò che percepiva e acquisiva andava ad arricchire il suo stile. Che restava suo. Guarda il Marinaio ubriaco, del 1919. Ci puoi trovare le tracce di Ottone Rosai, di Lorenzo Viani, il cubismo, il futurismo. Ma fai la sommatoria e ottieni ineluttabilmente Primo Conti. Guarda Giotto e Cimabue, del 1923. C'è ancora Rosai, vi si individua un'eco del Picasso del periodo Ingres, siamo calati in un'atmosfera  metafisica dominata però da una sorta di monumentalità che ancora si rifà al Rinascimento. Ma fai la sommatoria e ottieni ineluttabilmente Primo Conti."


Oltre la notte, 1976; Partire di sera, 1971; Luna blu, 1984; Grande figura seduta, 1966

Niccolò Niccolai ha avuto la fortuna di vedere Conti al lavoro. Molte delle opere esposte nella sala dei dipinti estremi le ha viste nascere. "La sua gestualità conservava una grande capacità di struttura disegnativa proveniente dalla tradizione fiorentina che si può far risalire al '500. Si alzava la mattina presto per riproporre i colori dell'alba. Ne otteneva delle opere non figurative, non materiche, non informali, che erano come delle Maestà. Maestà laiche. Ma il suo sentimento nei confronti del fenomeno fisico dell'alba era religioso!"

Veronica, 1931
Continua Niccolò: "Poneva al centro della tavolozza uno strato di olio di lino, e i colori ai lati. Mescolando volta a volta colori e olio, poteva dipingere con quella maggiore fluidità che rende i suoi dipinti inconfondibili. Si rimise in gioco a 70 anni e divenne amico di Rauschenberg, che dipingeva usando scope di saggina a mo' di pennelli. Primo continuò a usare i suoi pennelli, non potendo dimenticare il suo passato e le sue radici, ma il modo di usarli, diciamo così, tenne da allora in considerazione anche le scope! Conti non ha mai dimenticato né rinnegato nulla. Voglio dire che il futurismo se lo è portato dietro per tutta la vita. Ne trovi traccia nelle opere della 'vecchiaia', così come nella Veronica (1931): d'accordo, è un soggetto religioso. Ma la reminiscenza futurista c'è: è nella veste della donna in basso a destra. Se invece le circostanze esigevano quella somiglianza che non era nelle sue corde, nondimeno lui non si tirava indietro. Guarda questo ritratto di Luigi Pirandello, del 1928. E ne vidi un altro sempre di Don Luigi, che non è in mostra, e a mio parere è ancora più bello." Se possibile, aggiungo io.

Luigi Pirandello, 1928



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