giovedì 1 marzo 2018

Quella stazione senza paese



Il bambino del treno è un bellissimo romanzo di Paolo Casadio (Piemme 2017).
Ho conosciuto Paolo in occasione della presentazione del libro alla Biblioteca di Vicchio, il 27 gennaio 2018. Giustamente il giorno della memoria. Ancor più giustamente Vicchio. Perché tutta la vicenda narrata si svolge in una frazione vicchiese nel cuore dell'Appennino, oggi del tutto disabitata.

Il palcoscenico centrale è la Stazione di Fornello. Una stazione senza paese. Fruitori erano gli abitanti delle tante case sparse intorno, all'epoca dei fatti traboccanti di vita(lità). Si sarebbero svuotate inesorabilmente nel secondo dopoguerra. La stazione fu dismessa nel 1968, giusto cinquant'anni fa. Nel 1935 vi era approdata - questa la finzione del romanzo - una giovane famiglia romagnola ancora in fase di completamento: il capostazione Giovannino, la moglie Lucia dai capelli di frumento, il loro figlio Romeo che al loro arrivo era ancora in pancia, il cane Pipito.

La stazione di Fornello, 2012
Preferisco evitare di raccontare la trama, ma rimarcare il crescendo di tensione che Paolo ha saputo costruire partendo da pochi elementi che dapprima rimangono sullo sfondo, apparentemente con la sola funzione di precisare in che epoca siamo; ma che, man mano che si procede, si espanderanno a dismisura e con furore, in un crescendo allucinante di importanza e gravità. Per deflagrare nel 1944. In parallelo, la funzione di protagonista sarà ben presto guadagnata dal bambino che cresce. Il bambino del treno, appunto, il quale, scontrandosi con la tragedia montante, reagisce da par suo, con le risorse che la sua età gli mette a disposizione, e che sfrutta fino in fondo. E non solo: decide che vuole diventare ebreo. Per comprenderne i motivi va letto il libro.

La stazione vista da Case Pian Bertozzi, 2002

Nonostante la stazione sia - lo ripeto - il palcoscenico centrale della vicenda, uno dei meriti di Paolo è quello di aver saputo restituire vita e dignità a una sorta di - verrebbe da dire - autentica etnia, oggi praticamente inghiottita dall'oblio e sulla quale non si è mai scritto o parlato, o almeno non quanto meriterebbe: gli abitanti delle case sparse.

Case Brancobalardi, 2008
Case. Casolari. Isolati gli uni dagli altri, ma ciascuno con la sua propria denominazione. Case Brancobalardi, Le Casette, Case Pian Bertozzi, Piandolci. E altre ancora. Quelle che compaiono nel romanzo sono state meta, ormai diversi anni fa, di vagabondaggi da parte del sottoscritto, a volte in solitaria, a volte insieme con il mio amico e vicino di casa Gianni Pieri. I sentieri che vi conducevano sono oggi spesso difficili da identificare, e il rischio di perdersi è spesso alto (una volta mi capitò), ma Gianni conosce la zona meglio di Google Maps. Come si vede dalle foto che scattai, le case sono ormai niente più che ruderi. Anche se rimangono tracce forse indistinte ma sufficienti a far intuire quanta vita vi sia trascorsa.

Piandolci, 2002
Questa vita, Paolo Casadio l'ha riportata alla luce in tutta la sua straordinaria concretezza e, fatto importantissimo, senza mai scivolare nella retorica. Il rischio era alto, sia da un lato: "Ah, bei tempi andati, quando si viveva a diretto contatto con la natura e il grano lo battevano a mano [sì: gli altri!]"; sia da quello opposto: "Ah, i poveri contadini, vittime del padrone e del fattore, morivano sempre di fame, oh, che vita terribile...!". 
No. La vita di chi abitava le case sparse era davvero quella narrata da Paolo, nel bene e nel male. Dignitosa, lieta, terribile, allegra, angosciata, monotona, avvincente. E difficile, certo. Ma altrove era forse tanto più facile?

Le Casette, 2010
Della stazione di Fornello si parlava talora sul Messaggero del Mugello, settimanale che per 50 anni, dal 1883 al 1933 raccontò le cronache della regione. Oggi è consultabile on line ed è una miniera di informazioni. In occasione dell'inaugurazione della luce elettrica a Gattaia, estremo centro abitato prima dell'Appennino e il più vicino alle case sparse, si scrisse (sotto) del progetto per una strada rotabile che collegasse la frazione a Fornello. Era il 21 aprile (Natale di Roma!) 1929.   



Leggiamo sempre sul Messaggero del 6 ottobre seguente che la signorina Lenina Lanini Cucciatti si attivò perché il progetto vedesse la luce. Cosa che non avvenne mai. Non era neanche il primo tentativo, e non fu l'ultimo. Adriano Gasparrini ritrovò negli archivi del Comune di Vicchio una raccolta di firme, circa il 1935-36, rivolta direttamente al duce, affinché dicesse una parola in più per la creazione di questa benedetta strada. Giunse, non proprio immediatamente, né firmata da Mussolini, una risposta in retorico-burocratese da cui si poteva decifrare che mancavano i soldi. Mancavano sempre i soldi. Poi gli avvenimenti precipitarono, come tutti sanno e come Paolo Casadio ha saputo non solo narrare ma far percepire in modo palpabile a chi legge il suo romanzo.
Una parentesi per Lenina, figlia di un possidente del posto, donna vulcanica e generosa, che animò instancabilmente la vita di Gattaia promuovendo a getto continuo manifestazioni per il duce e per la patria. Non tardò a pagare la sua devozione al fascismo ben oltre le sue colpe, in fondo praticamente nulle. I tedeschi in ritirata fecero saltare per aria la sua villa, e lei si ritrovò a vivere nell'unica stanzetta sul retro rimasta agibile, isolata e abbandonata da tutti. Un giornalista americano la incontrò nel 1948, e la descrisse molto grassa, molto erudita, molto infelice. Si spense nel 1980.

Messaggero del Mugello,
6 ottobre 1929
La stazione di Fornello ha ritrovato negli ultimi anni una certa notorietà. Viene recensita su Trip Advisor, ha una voce su Wikipedia, un sito, e, come si legge su quest'ultimo, è stata inserita all’interno dei Censimento dei Luoghi del Cuore del FAI (Fondo Ambiente Italiano) ed è stato possibile votare online ottenendo grande visibilità. Il CAI, il Club Alpino Italiano, ha quasi completato la realizzazione di un sentiero che consente agli escursionisti di raggiungere la stazione senza mai venire in contatto diretto con la strada ferrata. Iniziative lodevoli ma, mi diceva proprio il mio amico Gianni, medaglia con un suo rovescio: "Il sentiero è ben tracciato e ben segnato, ma si sta popolando di cartacce e rifiuti la cui presenza, o meglio ancora la cui esistenza stessa era, fino a pochi anni fa, assolutamente inconcepibile nel cuore dell'Appennino."

Il bambino del treno, la cui lettura - l'avrete capito - raccomando caldamente, vanta anche un 'primato' per il quale sono grato a Paolo Casadio: è il primo testo che, nella bella e ricca - quanto opportuna - bibliografia finale, cita questo blog. Il riferimento è alla storia degli Ebrei ribelli, che pubblicai nell'aprile 2017.
 


3 commenti:

  1. Caro Paolo, ho apprezzato tanto quest'articolo: perché "centra" il senso del romanzo, perché è supportato da documenti che non conoscevo e foto che non avevo mai visto. E la storia narrata, così, è divenuta più ricca. Grazie davvero, Paolo.

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  2. Gran bella recensione che fa venire voglia di leggere subito il romanzo!

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