giovedì 20 dicembre 2018

GABBATO LO SANTO 15: Dalla parte delle bambine


Ho conosciuto la figura di Celestina Donati grazie alla lettura di Il babbo era un ladro (Betti Editrice, 2018), un libro splendido come tutti quelli scritti da Paolo Ciampi, in cui si ricostruisce mirabilmente la vita non facile della figlia di un ladruncolo meno poeta romantico che egolatra, nella Firenze del secondo dopoguerra. Nel 1949, la piccola protagonista Bruna fu condotta a Campo di Marte. Scrive Ciampi: "Qui c'è l'istituto delle Calasanziane, le religiose che hanno raccolto l'eredità spirituale della beata Celestina Donati, la suora di Marradi che per missione ha scelto i bambini abbandonati. E chi può essere più abbandonato del figlio o della figlia di un carcerato? È dal 1889 che l'istituto opera, prova provata che a Firenze il cattolicesimo non vive solo di messe e chiacchiere nei salotti, piuttosto sa rimboccarsi le maniche e dare gambe alla carità". Più avanti: "Da parecchio, ormai, qui non c'è più il collegio dei bambini abbandonati, ma una scuola privata di buona reputazione." Non è la sola. I centri educativi delle suore Calasanziane sono oggi sedici, di cui due in Brasile e uno in Romania, uno in Nicaragua e uno nel Congo. La beata Celestina seppe seminare.

Celestina Donati (1848-1925) fu beatificata a Firenze il 30 marzo 2008 da Papa Benedetto XVI. Le testate religiose ne parlarono più o meno diffusamente. Ecco cosa scrisse tra l'altro Toscana Oggi:

In una Cattedrale gremita di religiose e religiosi, di sacerdoti e di fedeli giunti da ogni parte d'Italia, il Cardinale Saraiva Martins ha tratteggiato la vita della nuova Beata: «sotto la sapiente guida del Padre scolopio Celestino Zini, poi diventato vescovo di Siena, maturò la sua vocazione, conoscendo sempre più profondamente la spiritualità calasanziana. Si consacrò totalmente al Signore, dedicandosi al servizio delle bambine più povere e bisognose di cure, fondando per questo la nuova Congregazione di religiose, oggi note come Calasanziane».

Subito dopo, però, il web è diventato decisamente avaro di notizie su di lei. 
Di Celestina sono riuscito a rintracciare solo due fotografie, una delle quali è quella d'apertura che riprendo dal sito delle Calasanziane, e da cui in seguito sono originati tutti i ritratti da santino. Ne troviamo una spiegazione sulla sua biografia, stilata da Aladino Moriconi nel 1949 e stampata a Firenze dalla Direzione Generale delle Suore Calasanziane in occasione del centenario della nascita: "Altra cosa cui era difficile sottoporla per la sua grande umiltà era il ritrattarla: bisognava farlo sempre di sorpresa, e solo qualche rarissima volta lo fece per espresso desiderio dei Superiori."
Come già si può comprendere dalle parole di Paolo Ciampi, la vicenda umana della Beata Celestina Donati, al secolo Anna Maria o Marianna Donati, è esemplare per lo meno quanto la sua attività fu anticonvenzionale. Risulterebbe tale oggi, figuriamoci a cavallo tra XIX e XX secolo. 

La prima sede della Congregazione in via Faenza
Marianna faceva parte di una delle famiglie storiche di Firenze. Nel senso che di Firenze fecero anche la storia: i Donati. Il padre, Francesco, avvocato universalmente stimato, ebbe da Costanza Civinini quattro figli: Gemma (come la moglie di Dante), Alfredo, Corso (come Corso Donati, anche se averlo tra gli avi non era tanto da vantarsene) e Marianna. Francesco cambiò spesso luogo di lavoro, da Marradi a Cortona, Montelpulciano, Castiglion Fiorentino, Siena, e finalmente nella natia Firenze. Marianna nacque quand'era a Marradi.
Dunque, la storia di Marianna parte da un classico: una famiglia benestante, uno dei cui elementi (l'avrete già intuito) sceglierà la povertà e la carità. Ma gli sviluppi avranno tratti del tutto insoliti. Marianna dovette aver ereditato qualcosa anche da un'altra Donati: Piccarda. Non solo la dolcezza e la bontà, ma forse soprattutto l'indipendenza, e un carattere di delicato acciaio.

Avere un carattere forte non significa non avere mai dubbi. Marianna ne aveva, e tanti. La devozione filiale non le consentiva di allontanarsi dal padre, specialmente dopo la morte dell'adorata moglie. Era buono, il babbo. Non era affatto un tiranno. Adorava tutti e quattro i suoi figli. Solo che per Marianna sognava un bel matrimonio. E questo la figlia non lo permise. La determinazione di sposare Gesù Cristo le era nata dopo l'incontro col Padre Scolopio Celestino Zini, che la seguì anche dopo essere stato nominato Arcivescovo di Siena. 

Padre Celestino Zini
Un periodo di prova presso le Suore Vallombrosane non ebbe esito felice. Probabilmente Marianna sentiva di dovere e voler compiere un cammino del tutto suo. Né era fatta per appartarsi dal mondo, ma al contrario per viverci dentro. E ci visse.
Ci vollero ancora anni perché il suo progetto si concretizzasse. Cercò un quartiere con vicina una chiesa e in cui poter alloggiare anche il babbo e la sorella Gemma (i fratelli avevano brillantemente seguito le orme del padre). Finché in via Faenza 62, accanto alla Chiesa di S. Giuliano, Marianna Donati fondò la Nuova Congregazione delle Figlie Povere di S. Giuseppe Calasanzio. La regola fu scritta da Padre Celestino. Da lui Marianna prese il nome e da allora si chiamò Suor Celestina Donati. Era il 1889 e Marianna, ora Celestina, aveva 41 anni. Attenzione: non pensate a questa età com'è vissuta oggi. All'epoca si era irrimediabilmente vecchie. Ma il lavoro per lei era appena iniziato. La strada da seguire - tutta in salita e con una pendenza da Stelvio - le fu indicata da una bambina condotta al convento dalla mamma che voleva sottrarla alle botte del padre perché non vendeva abbastanza fiammiferi. Celestina riuscì a far pentire e convertire l'uomo, e alloggiò la famiglia nel convento. Tra parentesi: quanto ci sarebbe bisogno oggi del suo lavoro!


La biografia di Aladino Moriconi ha spesso passaggi un po' enfatici a cui non era facile sfuggire dovendo tessere le lodi della protagonista, ma è articolata e dettagliata. In più, a un certo punto traccia rapidamente una biografia, gustosa in quanto dal punto di vista di Satana, di San Giuseppe Calasanzio (José de Calasanz, 1557-1648), fondatore delle Scuole Pie, che creò a Roma nel 1597 la prima scuola gratuita per i poveri in Europa, e al cui nome, come abbiamo visto, è intitolato l'istituto.

Questa donna - diceva il maligno - si picca di far la scimmia a quel Giuseppe Calasanzio che, di certi monelli, che se ne stavan beatamente in piena libertà per le vie e per le piazze, con quelle sue Scuole Pie s'era ficcato in testa di farne della brava gente, senza avvedersi invece che ne faceva degli spostati: ma ebbe a fare in conti con me, ché gliene feci tante da farlo perfino arrestare e portare pubblicamente di pieno giorno al Santo Uffizio con tutto il suo stato maggiore; e poi gli mandai alla malora tutta quell'accozzaglia d'asini pezzenti dei suoi frati, costringendolo infine a morir di bile e quasi disperato, dopo averlo tartassato per quasi tutti i 92 anni della sua sciagurata vita. Così farò anche di questa esaltata piagnucolona, di questa pitocca che non rifinisce di portar della confusione tra i gaudentoni fiorentini per toglierli dalla loro beata indifferenza religiosa. 

L'unica (?) altra fotografia di Suor Celestina
Suor Celestina non si arrese né a Satana né, soprattutto, alla diffidenza dei fiorentini, inevitabile di fronte a principi come quello che sempre Moriconi le fa esprimere, rivolta alle altre suore:

Che ne dite voi, se si aprisse in Firenze un Laboratorio d'Arti e Mestieri per le ragazze del popolo, onde potessero guadagnar qualche cosa durante l'abilitazione  al lavoro, ed intanto avessero modo d'acquistarsi una formazione cristiana per divenir poi buone e brave madri di famiglia, sottraendole così alle speculazioni e alle cupidigie dei poco coscienziosi industriali, che soglion tenerle nei magazzini, ove è sbandito il santo timor di Dio?

Se l'idea può risultarci oggi superata, allora era ai limiti del sovversivo. E, mentre a Napoli il Beato Bartolo Longo (1841-1926) si occupava, anch'egli non esageratamente difeso e favorito, dei bambini dei carcerati, Celestina dedicò la sua attenzione alle bambine in particolare dei carcerati. Ancora Moriconi scrive che Suor Celestina "non con ciance accademiche, ma con la pratica luminosa dei fatti ha dimostrato falsa e crudele la teoria positivista di un Cesare Lombroso e di un Enrico Ferri, i quali pretendono che i figlioli seguano la natura dei padri: in modo che da un padre delinquente o pazzo debba nascere un figliolo delinquente o pazzo."
Non è una cosa rapida, né indolore. Ma è, come afferma Giampiero Pettiti su www.santiebeati.it, "un intervento che ancora suscita diffidenza e scandalo, tanto è poca la considerazione che all’epoca si ha per chi è in carcere. Ci vuole tempo e pazienza perché Madre Celestina riesca a far convergere sulla sua opera la beneficenza dei ricchi fiorentini, trasformando la loro “carità da salotto” in concreti interventi per i bisognosi."

L'interno di San Giuliano
Così, contrariamente a San Giuseppe Calasanzio, Suor Celestina incontrerà grosse difficoltà, non tanto dalla Chiesa, da cui anzi sarà appoggiata, in particolare dall'Arcivescovo Mistrangelo che era Padre Scolopio, quanto nel reperire i fondi. Nel trovare gli sponsor, insomma. C'era da mantenere una congregazione che pareva espandersi da sola. L'apertura di una Casa delle Calasanziane a Livorno fu la prima di una lunga serie. La suora ideò una colonia marina per la salute delle bimbe, sempre a Livorno. Istituì in San Giuliano l'Adorazione Perpetua del Santissimo, tuttora esistente. Era il 1900. Quattro anni dopo s'inaugurò la struttura di via delle Cento Stelle. Celestina non sapeva dire di no alle richieste di accoglienza di bambine bisognose. La sua esistenza fu così un continuo dibattersi tra la gestione delle suore, la ricerca e/o la manutenzione delle strutture d'accoglienza, l'attenzione alle bambine e soprattutto i conti da pagare. Rigidamente contraria ad accettare qualunque forma di sovvenzione fissa, faceva affidamento sulle donazioni da parte di famiglie per lo più nobili di cui doveva superare i pregiudizi e le resistenze. Resta celebre una battuta di Suor Celestina, riportata anche da Moriconi: "Gesù è morto sui chiodi, noi sui chiodi ci si campa". Un fiorentino sa bene che i chiodi in questione sono i debiti. Quando Mistrangelo si rallegrò con lei perché era guarita da una brutta polmonite e ne attribuì il merito anche alle preghiere delle bambine, ribatté: "Dica piuttosto che sono state le preghiere dei miei creditori".

Via delle Cento Stelle

Quando, in mezzo a non pochi ostacoli e dopo non pochi tentativi andati a vuoto, riuscì a realizzare il suo antico desiderio di aprire una casa a Roma, presso Porta Furba, Celestina aveva 75 anni. Avere 75 anni allora era come essere oggi intorno ai novanta. Scrive ancora Moriconi: "Le prime due bimbe là ricoverate si chiamavano Maria ed Angela: eran della Campagna romana ed avevano il babbo a Regina Coeli per molti e gravi delitti. Quelle creaturine, alle mani di un uomo bestiale..., erano in condizioni miserande! Una tra l'altro aveva i denti spezzati e l'altra aveva una gamba fratturata e bisognava operarla...". Un acceso e appassionato articolo sul Messaggero diede come risultato una serie di donazioni che ridussero la precarietà della nuova istituzione. Lo stesso effetto, anche se s'intende non certo risolutivo, ebbe per le strutture fiorentine un articolo sul Nuovo Corriere. Significativa una lettera scritta a Suor Celestina il 7 marzo 1925, quando era già gravemente malata, dall'amico scrittore e poeta Giulio Salvadori (1862-1928), nella quale le riassume il lavoro instancabile suo e della sorella Giuseppina per il sostentamento delle suore romane. Appelli, sottoscrizioni, richieste presso famiglie amiche. Questi sforzi non furono vani, anche se Celestina non fece in tempo a vederli: entro lo stesso anno si venne all'acquisto di un terreno con un casale a Primavalle, dove nel gennaio 1929 si aprì il nuovo asilo romano per le figlie dei carcerati. Quello che oggi è l'Oasi Celestina Donati. 

Moriconi descrive l'agonia della Suora con eccessiva enfasi retorica, ma la morte di Suor Celestina, avvenuta il 18 marzo 1925, fu in effetti motivo di costernazione sincera per tutta Firenze, e non solo. È morta una santa, fu la frase più ricorrente. Antonio Borrelli, sempre su www.santiebeati.it, scrive: "una decina d’anni dopo si cominciò ad istruire la causa per la sua beatificazione, il 12 luglio 1982 uscì il decreto d’introduzione; il 6 aprile 1998 si ebbe quello sull’eroicità delle virtù e il titolo di venerabile." Insomma, c'è voluto il suo tempo perché si arrivasse alla beatificazione, proclamata, come abbiamo visto, nel 2008. Da Elena Giannarelli, sul suo prezioso Donne di pietra (II ediz. Giorgi & Gambi 1999), veniamo infine a sapere che era stata approvata, da apporre sulla facciata della sede di via Faenza, una lapide che in realtà non è mai stata affissa. Diceva:


QUI LA FIORENTINA SUOR CELESTINA DONATI
VISSE SILENZIOSAMENTE SUI CHIODI 
PER ASSISTERE LE FIGLIE DEI CARCERATI


















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