giovedì 22 dicembre 2016

GABBATO LO SANTO 1. Barduccio Barducci

Ce ne sono parecchi. Molti più di quanto si pensi. Avevano condotto una vita, per l'appunto, santa, ed erano stati dei punti di riferimento per lo più in quelle che oggi chiameremmo singole realtà territoriali. Canonizzati quando ancora il procedimento era relativamente semplice e bastava il parere di un sinodo o addirittura di un solo vescovo, senza trafile, processi e proclamazioni in Piazza San Pietro. Canonizzati dunque, o anche solo beatificati, a furor di popolo. Poi, all'entusiasmo dei primi anni post mortem, faceva magari seguito uno scemare della devozione, in parte arginato dalla presenza di reliquie, se c'erano. Se non c'erano, l'oblio scendeva implacabile come il tempo. Restavano, e spesso restano tuttora, riferimenti su vecchi testi, nomi di qualche località, piccole frazioni di paese, qualche edificio sacro: oratori, chiese, non di rado anche pievi.


Giuseppe Maria Brocchi realizzò, a partire dal 1742, le sue ponderose Vite de' Santi e Beati fiorentini in tre volumi. Il secondo e il terzo sono dedicati a Quei Santi e Beati che hanno ab immemorabili il pubblico culto alle loro reliquie ed immagini quantunque di Essi non si faccia memoria nel Martirologio Romano e non se ne celebri la Festa con Messa ed Ufizio. Superano il centinaio. E son solo quelli fiorentini!
Barduccio Barducci, che non è nemmeno chiaro se fosse stato canonizzato, è apparentemente uno dei più sfortunati. Forse per questo mi è rimasto simpatico. Racconterò di altri, in futuro, ma parto da lui. Apparteneva a una famiglia benestante fiorentina che abitava nel quartiere di S. Spirito. Le notizie su di lui sono scarne. Giovanni Villani lo rammenta in un passo delle Croniche. Eccolo.


Sul suo amico e compagno di imprese di carità Giovanni da Vespignano le notizie sono (ma di poco) più ampie, anche perché le sue reliquie sono giunte fino a noi. Ma la Chiesa di S. Spirito de' Padri Eremitani di S. Agostino, dove Barduccio fu sepolto, andò a fuoco il 21 marzo 1470, e della sua salma non rimase traccia. Non rimase traccia neanche del suo operato miracolistico in vita o in morte. Per lui non ci fu scampo. Cadde nel dimenticatoio.
Non ci fosse stato il passo del Villani, non sarei neanche qui a scriverne. Ma c'era, e non si poteva prescinderne. Storici e agiografi ebbero problemi non indifferenti. Silvano Razzi, nelle sue Vite de' Santi e Beati toscani (1593), poté basarsi solo su un manoscritto del Monastero di S. Pier Maggiore, relativo più che altro a Giovanni, in cui è riferito che Barduccio sarebbe venuto a mancare all'età, decrepita per l'epoca, di 96 anni.
Domenico Maria Manni faticò anch'egli non poco per trovare qualche notizia in più su Barduccio. Citò le parole di un contemporaneo, Simone della Tosa (ca. 1300-1380), il quale aveva scritto di "S. Varduccio; che stava di casa oltrarno; e che alla sua morte concorse a vederlo a S. Spirito tutta la città". Personaggio celebre e stimato, dunque. Vi era poi un calendario antico che poneva sotto l'ottava di Pasqua di Resurrezione il Beato Barduccio, ed è la festa a a Santo Spirito. Sempre citate da Manni le parole di Franco Sacchetti. Nella novella n. 157 scrive:

"E così avviene oggi nel mondo, che li signori e gli altri viventi sono sì vaghi di cose nuove che se elli postessono, muterìano la signoria del cielo, come spesso mutano quella delle terre. Abbiamo li santi canonizzati e cerchiamo di quelli che non sappiamo se sono. Abbiamo il nostro Signore Jesu Cristo, la sua Madre, gli Apostoli e gli altri maggiori del Paradiso, e andremo dietro a san Barduccio." 

Parole per nulla lusinghiere, certo. In realtà, Sacchetti poneva un problema che davvero esisteva all'epoca (fine '300): la proliferazione di culti locali che i fedeli sentivano come più vicini e concreti, a scapito però di quelli universali della cristianità. La Chiesa stava già correndo ai ripari, anche per  riaffermare la propria centralità, promuovendo processi di canonizzazione più complessi e severi da un lato, istituendo la figura intermedia del beato dall'altro, in modo da non scontentare i fedeli. A rimetterci è il nostro Barduccio, che qui è usato come esempio di santo da quattro soldi, ultimo arrivato.
Eppure...
Eppure, secondo una interpretazione che peraltro non ebbe seguito, Barduccio, insieme con l'amico Giovanni, ebbe una velata citazione da parte di Dante. Sempre Manni riporta che "di ambedue [l'altro è Giovanni] intendeva a prova il celebre Magliabechi, che avesse parlato Dante nel Canto VI dell'Inferno, quando per la domanda da lui fatta a Ciacco se in Firenze v'era alcun uomo giusto, gli fu risposto: 


Giusti son due, ma non vi sono intesi;

cioè sono incogniti ai popolari". 
Sul celebre verso 73 ci sono state varie interpretazioni, e nessuna accettata unanimemente. Dante si riferiva a qualcuno in particolare? O parlava in senso generico, come dire che di giusti ce ne sarà un paio sì e no? Non è chiaro. Brocchi nota che l'aggettivo giusti è lo stesso usato da Giovanni Villani. All'epoca in cui si svolgono i fatti della Comedia i due benefattori laici dovevano essere in piena attività, e Dante sicuramente li conobbe. La certezza che Magliabechi avesse ragione e che i due giusti fossero davvero Giovanni e Barduccio non si può avere. Ma riconosco che mi piace crederlo.  

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