sabato 21 luglio 2018

Vedere Scatizzi

 

I fiori di Scatizzi sono proverbiali, direi, quasi quanto le bottiglie di Morandi. Potrete vederne ben sei se andate o tornate nel salone Donatello della Basilica di San Lorenzo a Firenze per (ri)visitare la mostra Presenze nell'arte contemporanea - emergenti del XXI secolo e maestri del XX secolo.
L'esposizione allestita dalla Nag-Art, di cui ho parlato diffusamente in questo post, in realtà non è stata prorogata: è stata proprio inaugurata una seconda volta, il 7 luglio e resterà visibile fino al 28 luglio. Una sorta di replica per la quale è stato creato un nuovo catalogo, sempre curato da Silvia L. Matini, e con alcune variazioni, diverse conferme e non poche new entries. 


Insomma, vale la pena tornarci anche se si è già visitato la 'edizione' di giugno: nella quale non c'erano ancora, tra gli altri, l' annigoniano Samuele Vanni, che espone un suggestivo San Francesco riceve le stimmate; il vedutista lombardo Cesare Triaca; Giovanni Crispino, autore di manifesti cinematografici e copertine di libri, qui presente con alcune rivisitazioni, stranianti e intriganti, di scorci fiorentini; la cinese Hu Huiming, classe 1990, artefice di opere sperimentali curiose e inattese. Tony Nicotra, italiano nato nel 1971 a Caracas. Questi si serve di tecniche particolari grazie alle quali le sue opere dànno colori - e forme - differenti a seconda che siano illuminate dalla luce del giorno o dagli ultravioletti. Vi è poi una lacuna colmata: l'opera della siriana Helen Abbas, in programma già nell'allestimento di giugno, ma che era rimasta bloccata alla dogana. 


E Scatizzi? Vincenzo Nobile, come sempre curatore e deus ex machina della mostra, è giustamente orgoglioso di proporlo. "Ne vogliamo celebrare il centenario della nascita. I dipinti che esponiamo provengono da una unica collezione privata, e occupano il posto d'onore integrandosi perfettamente con le altre opere dei Maestri del XX secolo presenti anche a giugno - Annigoni, Guttuso, Carrà, Rosai, Sironi -, e con le quali chiedevamo agli artisti contemporanei di confrontarsi.".

Sergio Scatizzi fu artista generoso e prolifico, pur dedicandosi prevalentemente a due generi: il paesaggio e la natura morta, in particolare - l'abbiamo detto - i suoi celebri fiori. Il che non ne fa certo un artista limitato. Nacque il 20 ottobre 1918 a Gragnano, non distante da Capannori (LU). Tutte le sue biografie sottolineano alcuni incontri che influiranno sulla sua vita e la sua arte, in particolare Mario Mafai, poi (1939) lo scrittore Giovanni Comisso e il collega Filippo De Pisis. La sua prima personale risale al 1949, e l'anno seguente partecipò alla Biennale di Venezia. Nel 1955 si trasferì a Firenze. Fece parte di numerosi circoli culturali, stabilì rapporti con Carlo Betocchi, Alfonso Gatto, Ottone Rosai. Collaborò con la Galleria L'Indiano fino al 1969. La sua attività espositiva fu comunque sterminata. Nel 1967, sempre a Firenze, ebbe il XVIII Premio Internazionale del Fiorino e della Città di Firenze. L'anno seguente espose all'Ashville Art Museum, North Carolina (U.S.A.). Fu attivo fino all'ultimo, nonostante l'incombere della malattia. La produzione dell'ultimo periodo fu oggetto di una grande mostra dal titolo Il barocco informale di Sergio Scatizzi che si tenne da settembre a novembre 2009 nella Sala del Fiorino della Galleria d'Arte Moderna fiorentina. Fu forse l'omaggio più importante reso da Firenze a Sergio Scatizzi, il quale si spense pochi giorni dopo la chiusura.

Scatizzi rimase pittore italiano, e quasi ostinatamente toscano. I suoi incontri e le sue frequentazioni culturali gli fecero però tenere ben presenti gli stimoli di artisti europei come un De Stael, e di movimenti di cui, soprattutto nel secondo dopoguerra, non si poteva non tener conto. L'informale. Il materico. Scatizzi li affrontò, li considerò, li utilizzò, ne prese quanto ritenne giusto per precisare e consolidare il suo stile. I suoi paesaggi sembrano compiere una parabola nel corso del tempo. La sua Valdinievole, le terre di Volterra, le spiagge di Vada, divenivano negli anni cinquanta, rispetto alle prime opere, sempre più rarefatte, sempre più essenziali, il pennello lasciava sempre più spesso il posto alla spatola, pur non venendo mai a mancare quella che il mio amico Niccolò Niccolai ha definito memoria figurativa. Carlo Lodovico Ragghianti parlò di plasma cromatico. Negli ultimi anni Scatizzi pare riavviarsi verso una definizione figurativa leggermente maggiore, senza rinnegare né rinunciare a nulla di quanto raggiunto fino allora, ma quasi non volesse correre il rischio di portare il suo stile alle estreme conseguenze, all'astrazione pura.
Come sostiene Giacomo Ferri in questo articolo, la strada percorsa da Scatizzi sembra talora andare di pari passo con quella del lombardo Ennio Morlotti, al punto che, confrontando i relativi fiori, non è facile capire chi abbia influenzato chi. Ma ciò dimostra come certe ricerche espressive e stilistiche fossero profondamente sentite a livello nazionale, per andare a confrontarsi con le avanguardie europee. Come in Morlotti, anche e forse soprattutto in Scatizzi, la compenetrazione, spesso conflittuale, tra figurativo informale e materico si ritrova appunto nei suoi fiori, lo ripeto: proverbiali. I quali, lo dico a questo punto per esperienza personale, vanno visti dal vivo. Una foto non basta.
Cosa ci affascina di questi brulichii di colori, dati più da colpi di spatola che da colpi di pennello?Cosa ci impressiona di queste composizioni floreali i cui soggetti sono così evanescenti, e sembrano quasi esser sul punto di dissolversi? Forse proprio il fatto che in un quadro di Scatizzi, più che dei fiori ci sembra di vederne il ricordo. Come tutti i ricordi, anch'esso si fa sempre più lontano e confuso, ci sfugge nonostante i tentativi e la volontà da parte nostra di trattenerlo, si ha insomma l'impressione di vedere dei fiori, sì, ma che tra poco questi fiori non ci saranno più. Solo che, anziché nel tempo, ciò accade nello spazio. Così, Scatizzi ci fa in un certo senso sentire a disagio. Ci fa sentire vulnerabili.
O almeno, queste sono le impressioni del sottoscritto nel vedere per la prima volta da vicino i suoi dipinti. Né pretendo che la mia sia l'interpretazione giusta. Di sicuro vedere Scatizzi è un'esperienza che - esattamente al contrario di quanto ho appena scritto! - non si dimentica. Va ringraziato l'amico Vincenzo Nobile per aver dato, a me e ai visitatori, questa possibilità. E per avere ricordato, nel centenario della nascita, un artista che è stato tra i protagonisti del Novecento artistico non solo toscano.  



3 commenti:

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