venerdì 3 agosto 2018

Niccolò Niccolai: ieri, oggi e (soprattutto) domani.


Il mio amico Niccolò Niccolai inaugurò la sua grande retrospettiva in Palazzo Panciatichi, a Firenze in Via Cavour, l'11 febbraio 2013. Lo stesso giorno, il mondo era rimasto ammutolito dalla notizia delle dimissioni del Pontefice Benedetto XVI. Io mi vanto di essere stato l'unico a comprendere il vero motivo di questo gesto. Lo confidai a Niccolò: "Vedi? Evidentemente anche lui ha saputo che tu di norma fai una personale ogni morte di Papa, sicché ha preferito mettere le mani avanti."
In realtà per Niccolò, nato a Castelfiorentino nel 1948, pittore, scultore, scenografo, insegnante, la ritrosia a esporre che tutti gli amici affettuosamente gli rimproverano non solo è parte integrante della sua indole, ma lo ha tenuto al riparo dai pareri dei critici, che avrebbero potuto indirizzarlo per vie che non sono le sue. Lo affermò Domenico Viggiano (Segretario dell'Accademia delle Arti e del Disegno) proprio in occasione dell'inaugurazione della mostra, e aggiunse: "Troppo spesso si rischia che la storia dell’arte la facciano i critici anziché gli artisti. E invece Niccolò ha dato sempre retta a se stesso, seguendo una strada personalissima e di grande coerenza."

Niccolò nel 2013 accanto a un autoritratto del 1968
Una strada, scrissi anni fa su una nota biografica, scandita soprattutto da incontri. Incontri che, per la loro grande e imprescindibile forza di coinvolgimento, non potevano restare senza conseguenze, tanto meno su un artista la cui formazione personale, va considerato, è stata prevalentemente religiosa. Incontri con svariate personalità piccole e grandi che hanno dunque contribuito al suo divenire umano e artistico. Inutile tentare un elenco che sarebbe sempre e comunque incompleto. Mi piace semmai rilevare la pari dignità che Niccolò assegna loro: a Gino Terreni, insegnante di disegno del commerciale che raccomandò i suoi di mandarlo all'Istituto d'Arte; come a Silvano Piovanelli, all'epoca Vicario della Val d'Elsa e Proposto di Castelfiorentino quando il P.C.I. vi raccoglieva il 78% dei voti, ma tutti andavano alla Messa per sentire le sue omelie. Sempre sul piano religioso, fra gli incontri rimarchevoli di Niccolò si possono ricordare il gesuita Jean Le Quit, Giovanni Lanza Del Vasto detto il Gandhi italiano, Don Luigi Giussani. Sul piano artistico c'è da perdersi. Maestri, colleghi, compagni di percorso, allievi. Da Emilio Greco a Luca Ronconi, dal regista Leo Toccafondi allo scultore Silvano Porcinai, e poi la scenografa Laura Stiattesi, da anni sua compagna di lavoro e di vita. Né si possono dimenticare i quattro anni di Accademia con Primo Conti, al termine dei quali si diplomò col massimo dei voti. L'amicizia con questo artista proseguì fino alla scomparsa di quest'ultimo, della quale sta per ricorrere il trentennale.
Niccolò ha attraversato diverse fasi stilistiche in continuità l'una con l'altra come un piano sequenza cinematografico, in un fluire che è frutto di di una ricerca continua. Il ricorso a più mezzi espressivi fa di lui un uomo del Rinascimento e lo inserisce senz'altro nel novero degli artisti rigorosamente fiorentini.

Pentecoste, 1972. Chiesa di S. Paolo a Soffiano, Firenze
Ho la sensazione - mi spiegò - che adesso si dia più importanza al mezzo che alla finalità dell'opera d'arte. La modernizzazione rischia così di rimanere fine a se stessa, e su se stessa arroccata. Il mezzo - il colore, il video, la performance, l'installazione - ha una sua ragion d'essere in funzione di ciò che si vuole esprimere. Dovendo intraprendere un viaggio, solo una volta stabilito dove si vuole andare avrà un senso scegliere se usare un Jumbo o un DC9, o una barca a vela, o un treno. Il mezzo è un veicolo utile, ma si può proseguire anche a piedi e a mani nude, purché la meta sia intravista. È la meta che fa grande e duratura la ricerca.

Il Monumento alle Vittime Civili del Bombardamento di Borgo S. Lorenzo

Dopo una fase di approfondimento sulle contaminazioni tra futurismo e cubismo, che raggiunse l'acme negli anni 70 (e ne riparleremo), Niccolò tornò al figurativo, sia in pittura che in scultura. Dal 1984-85 al 2005 è stato titolare della cattedra di pittura al Liceo Artistico. Le altre attività, in particolare quella di scenografo, lo coinvolsero e assorbirono, ma mai al punto di fargli tralasciare l'insegnamento. I suoi allievi ancora oggi gli dimostrano per questo una straordinaria gratitudine.


Quando lo andai a trovare per la prima volta, dieci anni fa, nella sua casa-studio di Vespignano, mi mostrò con più che legittimo orgoglio la sua scultura di S. Francesco Predicatore, che adesso è situata nel natìo Castelfiorentino di fronte alla Chiesa dedicata al Poverello d'Assisi.


Son tornato i giorni scorsi a trovarlo nell'altra casa-studio, sempre nei pressi di Vicchio ma di là dalla Sieve, sul Poggetto dell'Uliveta. Niccolò mi ha mostrato le sue ultime creazioni, compiute e non. Non ancora, s'intende.

In particolare, il suo Transito di San Francesco è strettamente imparentato con il Predicatore, di cui sembra rappresentare la logica, mistica conclusione. Il Transito è stato di recente esposto per tre mesi ad Ascoli Piceno nel Palazzo del Capitano del Popolo all'interno di una collettiva. Gli 8 artisti che vi hanno preso parte sono coinvolti in un progetto di riesame e riconsiderazione dell'arte sacra, nell'intento di conferire nuovi valori a questo genere. "La dipartita di San Francesco" spiega Niccolò "ebbe un che di quasi scandaloso. Il suo ultimo desiderio fu di essere privato del saio, e nudo essere seppellito nella nuda terra. Come suo ultimo gesto ho voluto evidenziare quel suo tentativo di proteggere le stigmate.".

Niccolò ha poi ripreso in mano e ricostruito una sua scultura realizzata molti anni fa, che era stata danneggiata. Rappresenta il mito di Hermaphrodita secondo Platone. Lo riassumo testualmente da una citazione su www.filosofico.net: "Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all'antica perfezione."

Avevo accennato alla ricerca compiuta da Niccolò negli anni '70. Quest'opera sembra esserne quasi un paradigma. "Lavoravo con Primo Conti, e grazie a lui approfondii i rapporti tra futurismo e cubismo. Questa scultura ne è un po' una sintesi. Al di là della logica ambiguità sessuale, ciò che a distanza di anni trovo maggiormente interessante sono queste spigolosità che s'intromettono nella forma a scomporla in elementi geometrici, dandole movimento e dinamicità. La strada che percorrevo è stata fondamentale, così come il rapporto con Conti, per tutto il mio lavoro a seguire. Voglio dire che il figurativo cui sono poi tornato discende in via diretta dalle ricerche compiute a quell'epoca."

Riprendo ancora dalla nota biografica: con le logiche distinzioni date dai relativi contesti, l'intera opera di Niccolò Niccolai lascia sempre e comunque all'osservatore una componente estetica da dedicare in effetti al momento puramente contemplativo. I modi e gli aspetti variano a seconda del linguaggio usato, ma si tratti dell'allestimento di una grande mostra culturale come Renaissance de la Mode Italienne; della scenografia di una Tosca; del Monumento alle vittime civili del bombardamento di Borgo S. Lorenzo (a sua volta vittima della maleducazione); della grande pala della Pentecoste; o viceversa delle sue acqueforti o degli innumerevoli disegni, acquerelli, schizzi sui suoi altrettanto innumerevoli album, una realizzazione di Niccolò chiede sempre allo spettatore una partecipazione contemplativa, da affiancare e spesso anteporre a ogni altro tipo di considerazione estetica, artistica, storica, funzionale, culturale. È questo forse l'elemento che accomuna i tre linguaggi dell'arte di Niccolò, che si trovano poi a esprimersi in modi apparentemente così diversi.

La sedia di Berenson nello studio di Niccolò
Niccolò è a buon punto nel completamento de La sedia di Berenson, che si ricollega perfettamente a quanto sopra. Era partito da uno schizzo che aveva fatto ritraendo l'amica Cristina Falcini, e da cui ha poi tratto la scultura. "Sono riandato con la memoria alle lezioni di uno dei miei maestri, Del Bravo. Questi citò una volta un concetto espresso da Bernhard Berenson: l'arte ha bisogno di una sedia. Una sedia dove posarsi comodamente rilassati, in modo da poter contemplare l'opera nella migliore delle condizioni possibili". "Sembrerà strano, ma l'elemento di partenza per la scultura, che poi è quello che mi ha incuriosito di più, è stata la posizione delle gambe. Da questa dipende tutto il resto. Non chiedermi perché, ma di solito disegno dal vero, e poi modello a memoria."




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