giovedì 9 agosto 2018

GABBATO LO SANTO 14: quando su S. Cresci finì in caciara



La storia del primo martire della cristianità in Mugello narra che S. Cresci, fuggito da Firenze insieme con un soldato convertito, raggiunse nel Mugello la località di Valcava. Qui trovò ospitalità  dalla vedova Panfila, che convertì guarendole il figlio Serapione, battezzato poi col nome di Cerbone. Fece fuggire madre, figlio e vicini di casa del pari convertiti al sopraggiungere dei militi dell’Imperatore Decio. Questi condussero Cresci e due compagni (Enzio e Onione, ma dei nomi riparleremo) presso il vicino tempio pagano e gli ordinarono di fare sacrifici agli dei. Al loro rifiuto, li uccisero il 24 ottobre 250. Sul luogo del martirio Panfila, Cerbone e altri sodali non nominati costruirono un altare. Qui furono sorpresi a pregare da soldati romani, e martirizzati  il 4 maggio 251. 

Scorcio della Pieve di S. Cresci in Valcava
Sono questi gli elementi essenziali di una Passio sanctorum, redatta con ogni probabilità verso il XII secolo da un anonimo che dovette avere attinto a degli Acta martyrum preesistenti e oggi perduti. La Passio rimase sconosciuta per secoli. Fu rintracciata solo nel 1588 nella biblioteca della Badia fiorentina, dopo anni di ricerche, dal monaco cassinese Don Marco di Francesco Bartolini da Borgo San Lorenzo. Il monaco trascrisse con fedeltà assoluta, grazie all’assistenza di altri padri religiosi eruditi, quanto riportato nel ponderoso volume in merito alla vita e al martirio di San Cresci e dei suoi compagni. In fondo, collocò una postilla nella quale scriveva brevemente di sé e della sua storia. Aveva avuto l’incarico da Benedetto Paoli, Pievano di Valcava, cioè del tempio dove il corpo del Martire e dei suoi compagni riposano. Ma ne aveva il desiderio fin dalla sua più tenera età, quando sentiva intorno a sé una profonda devozione per questo santo martire del quale però non si sapeva quasi nulla.
Del manoscritto originale si persero poi le tracce, ma quello ricopiato giunse nelle mani dell’abate Antonio Maria De’ Mozzi il quale, prima di farne dono all’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, scrisse la Storia di S. Cresci e dei SS. Martiri e della Chiesa del medesimo Santo posta in Valcava nel Mugello. Era il 1710. Negli anni precedenti, però, il passionale era finito in mani sbagliate e si trovò al centro di una polemica furiosa, di cui fece le spese la figura dello stesso San Cresci.

La Pieve di S. Cresci a Macioli, Comune di Vaglia
Premessa: vanno distinti gli Acta martyrum dalle Passiones Sanctorum. Gli Acta erano compilati in contemporanea o subito dopo gli eventi narrati. Di solito non si andava oltre la semplice registrazione del processo, condanna ed esecuzione del martire in questione. Si attingeva per lo più dai verbali, aggiungendo luogo e data. Venivano utilizzati anche per la compilazione dei martirologi. Somigliavano a certi odierni flash d'agenzia.
Ma degli Acta, in Italia, non è rimasto quasi nulla. Abbiamo, in greco, gli atti relativi a S. Giustino e compagni e a S. Apollonio. Nulla in latino.
Ben più diffusi sono i Passionali, scritti a partire dal V secolo, sempre e comunque molto tempo dopo le vicende che vi vengono narrate, e arricchiti con elementi frutto della fantasia degli autori, in genere a scopi didattici. Fantasia spesso malata, aggiungiamo tra parentesi, data la quantità di particolari raccapriccianti sulle torture subite dai protagonisti, per fortuna appunto quasi sempre frutto di invenzione.

Quello di S. Cresci era un Passionale. Come consuetudine dell’epoca, l’anonimo estensore infarcì l’ossatura della vicenda con una quantità di interpolazioni personali e gli sfuggirono numerosi evidenti anacronismi. Mise poi in bocca a San Cresci una serie di monologhi pesantissimi e interminabili. Li ho letti: fossero veri, verrebbe da parteggiare per i soldati. Quanto agli anacronismi, mi limito all'esempio della citazione testuale di alcuni passi del Credo, che all'epoca non era ancora stato scritto, oltre ad allusioni ad argomenti oggetti di dispute teologiche di parecchi anni posteriori (lotta all'arianesimo, ecc). Insomma il testo non poteva risalire al 250 d.C.

Il religioso romano Giacomo Laderchi, devoto meno di S. Cresci che del Granduca Cosimo III - lui sì devoto di S. Cresci e finanziatore del restauro ricostruzione & ristrutturazione della Pieve di Valcava - pubblicò nel 1607 il passionale, proclamando però ai quattro venti trattarsi degli Acta originali, redatti in contemporanea ai fatti narrati. L'Abate Giusto Fontanini chiese un parere sulla pubblicazione all'erudito servita Gerardo Capassi. Questi espresse forti e legittime perplessità sull'autenticità del testo, e lo fece in una risposta riservata che però finì nelle mani di Laderchi.
Laderchi non la prese bene. Pubblicò, con lo pseudonimo di Pietro Polidori, una Lettera ad un Cavaliere Fiorentino, in risposta di quella scritta dal p. Fr. Gherardo Capassi dell'Ordine dei Servi di Maria, a Giusto Fontanini (il titolo prosegue ma ve lo risparmio), in cui si cimentò in poderose arrampicate sugli specchi riguardo gli anacronismi, ma soprattutto a Capassi ne disse di tutti i colori. Lo trattò da eretico blasfemo che non credeva neanche all'esistenza di S. Cresci. S'inserì nella polemica, a favore di Capassi, il monaco cassinese Benedetto Bacchini. Capassi replicò, anche lui sotto pseudonimo, scrivendo le Nugae laderchianae in epistola ad equitem flor (anche qui vi risparmio il resto), nelle quali a Laderchi restituiva con gli interessi gli insulti subiti. Cosimo III perse definitivamente la pazienza, fece bruciare pubblicamente le Nugae, mandò ...altrove tutti i protagonisti della rissa e incaricò De' Mozzi di rimettere le cose a posto. E

La Pieve di S. Cresci a Montefioralle, Comune di Greve
De' Mozzi scrisse così il libro sopra accennato. Fece un ottimo lavoro, dal punto di vista sia storico che diplomatico. Ammise la scarsa attendibilità di buona parte del passionale, ma fu indulgente nei confronti dell'estensore, ammettendo che le Passiones dovevano servire per fare catechismo ai religiosi. Le notizie e i documenti da lui forniti sono ancora oggi una fonte di riferimento.

S. Cresci a Campi Bisenzio, oggi. Della chiesa originale non è rimasto nulla.
Evidentemente però non riuscì a riparare del tutto al danno di immagine - diremmo oggi - subito dal Santo Martire. Quello di S. Cresci è in effetti uno dei molti casi in cui gli elementi di invenzione hanno soffocato la storia originale al punto di far risultare inverosimile anch’essa. L'averla buttata in caciara contribuì ulteriormente alla svalutazione della sua figura. Sulla ‘Bibliotheca Sanctorum’, Giuseppe Raspini (1966) bolla la ‘Passio’ come “del tutto favolosa”. Oggi S. Cresci, malgrado la devozione mai sopita da parte dei suoi fedeli, non figura tra i Santi riconosciuti dalla Chiesa. Nemmeno i suoi compagni di martirio. Li cercherete inutilmente sul sito www.santiebeati.it. Ciò a dispetto di molti elementi che fanno supporre una storicità di fondo della vicenda. Riassumo brevemente i principali.
Anzitutto le quattro chiese, di cui tre pievanie, tutte antiche, intitolate a S. Cresci: quella di Valcava, secondo Niccolai documentata dal 1177, ma secondo il Lami risalente al IV secolo; la Pieve di Montefioralle (Greve) (menzionata per la prima volta nel 963), la Pieve di Macioli (Pratolino) (941) e la chiesa di Campi Bisenzio, che figura come monastero in una carta dell'866: il più antico documento in cui è fatto il nome di Cresci.

Plutei 16.08. S. Cresci è al terzultimo rigo.
In secondo luogo il nome del Santo riportato in diversi antichi martirologi. Salvo errore, il più antico è conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana, è segnato Plutei 16.08, risale al 1100-1110 ed è un martyrologium Bedae, ovvero un martirologio secondo Beda, dal nome del Compilatore. In realtà è un semplice calendario, con riportati i nomi dei santi (quando ci sono), che occupa le prime sette carte. In fondo alla carta 5v troviamo il IX Calendae, e il nome di S. Cresci.
A S. Cresci Giovanni Villani dedica un capitolo della sua Cronica (il XXI del Libro secondo), in cui lo definisce de le parti di Germania gentile uomo. Altri storici hanno dato per molto probabile l'origine tedesca di Cresci.
Quando nel 1613 l’Arcivescovo fiorentino Alessandro Marzi Medici compì a Valcava la sua visita pastorale, l’allora pievano Matteo Dalle Pozze chiese autorizzazione a effettuare scavi in chiesa, per dirla con De’ Mozzi, “per lo ritrovamento di così preziosi Tesori, appoggiato sulla fede degli Scrittori, e sulla continovata tradizione delle genti”. Ad autorizzazione ottenuta, si scavò sotto l'altare maggiore, e venne alla luce una sorta di camera funeraria con entro le ossa di un essere umano, privo della testa. La testa era già presente nella Pieve e venerata come reliquia, ed è quella che si vede nella foto d'apertura. Durante la medesima visita gli scavi proseguirono ai gradini dell’altare. Qui si ritrovarono, in una sepoltura murata di mattoni, due scheletri umani integri. Erano quelli di Enzio e Onione? Il Pievano non si contentò. Fece scavare sotto il fonte battesimale, sulla destra all'ingresso della Pieve. Vennero alla luce otto crani e una quantità di ossa umane affastellate e confuse tra di loro. Erano i resti di Panfila, Cerbone e compagni?
De' Mozzi descrive poi minuziosamente i ritrovamenti su un poggio non distante dall'odierna Pieve, ove molti indizi (tra cui monete antiche e piccole sculture) fanno pensare fosse situato un tempio pagano intitolato a Esculapio.

S. Cresci e compagni non hanno avuto pace neanche negli anni seguenti. Vi è stata una diatriba sui loro nomi. Come ho accennato in questo post, alla fine del '700 il Vescovo di Pistoia e Prato Scipione de' Ricci si prese la libertà di riunire i Santi Cresci, Enzio e Onione in un solo santo: Crescenzione. Fu mosso in questo da urgenze politiche (c'erano allora troppi santi in giro verso i quali vi era troppa devozione, a suo parere ai limiti della superstizione) e non certo da preoccupazioni di tipo storico filologico, che non lo sfioravano. Ammettiamolo: l'assonanza c'è. Va però considerato che il nome di Cresci - o Crescio, o Criscus, o Acriscus - è come abbiamo visto antichissimo, mentre dei nomi Enzio e Onione non vi è traccia prima del ritrovamento del passionale. Questo mi porta, forse con una certa presunzione, a ipotizzare che il redattore del passionale stesso, forse in cerca di nomi da dare ai soci di S. Cresci, credette di averli trovati male interpretando una qualche lapide o pergamena dedicata a S. Crescenzione, il quale era stato martirizzato insieme con S. Lorenzo.

Biblioteca Moreniana, Inc. 62_01. Cerbone è citato in alto nella pagina di destra.

Diverso il discorso per il nome di Cerbone che, secondo alcuni, originerebbe dal S. Cerbone vescovo di Populonia, vissuto nel VI secolo. Ma, oltre che dalla presenza di una località presso la Pieve di Valcava che da tempi immemorabili si chiama Bosco di S. Cerbone, questa ipotesi sarebbe smentita dalla celebrazione del Santo fin da tempi antichi come risulta anche da un martirologio stampato nel 1486 a Firenze da Benedetto dei Buonaccorsi, e compilato da Don Antonio Vespucci. L'unica copia è conservata alla Biblioteca Moreniana. Qui, alla data del 4 maggio, è specificatamente citato il martirio Cerboni & sociorum eius presso la tomba di S. Cresci in Valcava.


Non molto distante dalla Pieve di S. Cresci in Valcava esiste(rebbe) ancora l'oratorio dedicato a S. Cerbone fatto costruire da Cosimo III, ma è in condizioni disperate. Pericolante da tempo, è stato murato e transennato. Ed è un peccato, perché al suo interno si trova(va) un affresco che mostra(va) appunto la guarigione di Cerbone ad opera di S. Cresci. Questo affresco - la notizia è inedita - fu realizzato nel 1881 su incarico del Pievano Pietro Lorenzi dal pittore fiorentino Ferdinando Folchi (1822-1883) .

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