La domenica quarta di gennaio a S. Maria Novella si fa festa della B. Villana Botti fiorentina del Terz'ordine di s. Dom. vi sta esposto il corpo, e la mattina vi vanno a visitarla le Compagnie del Tempio, e del Pellegrino.
Così riferisce Padre Maurizio Francesconi nella sua Italia sacra stampata a Firenze ne 1739.
Questa beata dal nome infelice non è stata del tutto dimenticata. Il culto ebbe inizio a furor di popolo dopo la sua dipartita, appena ventinovenne, nel 1361. Ma Papa Leone XII, il 27 marzo 1824, lo confermò. Il suo nome è nel Martirologio romano:
A Firenze, beata Villana de Botti, madre di famiglia, che, abbandonata la vita mondana, prese l’abito delle Suore della Penitenza di San Domenico e rifulse nella meditazione sulla passione di Cristo e nell’austera condotta di vita, mendicando anche per le strade l’elemosina per i poveri.
La sua festa è dunque proprio oggi: il 29 gennaio.
La storia di Villana è narrata per la prima volta, secondo Giuseppe Maria Brocchi, da un tale Padre Fra Girolamo di Giovanni Fiorentino, Procuratore generale dell'Ordine de' Predicatori, verso il 1400. Nel 1674 Don Paolo Botti, cremonese suo discendente - almeno così sostiene -, stampò a Padova una Vita et attioni maravigliose della Beata Villana Botti, per sua stessa ammissione ripreso in buona parte da Padre Silvano Razzi
È una storia, scriverebbero oggi, di discesa agli Inferi, ma con risalita. Nata a Firenze da un mercante proveniente da Cremona, Villana già da piccola mostrava profonda fede e devozione per Cristo. Paolo Botti si domanda perché diavolo le abbiano appioppato quel nome. Forse per l'attesa di un maschio di nuovo frustrata? Ad ogni modo il suo aspetto era tutt'altro che da villana, per quanto lei, anticipando di poco Santa Caterina, lo sottoponeva a digiuni e a mortificazioni. I genitori, a dire il vero, non gradivano affatto. Sicché Villana, per tenerli buoni, portava sotto gli abiti di seta, e sopra la nuda carne, setole di cavallo, e un duro cilicio. Una notte fuggì di casa per raggiungere un monastero, ma le tenebre le impedirono di trovarlo. Fece ritorno a casa, e i genitori perdonarono. Evidentemente, commenta Don Paolo, Dio non la voleva monaca, ma maritata. E infatti il padre la fece sposare a tale Rosso di Piero Benintendi. Il quale la portò, lentamente ma ostinatamente, lontano da preghiere, digiuni e penitenze e, al contrario, la introdusse alla vita mondana. Vita che, secondo le cronache, degenerò in dissolutezza. Fino all'episodio centrale della sua vita.
Villana, una sera, si era preparata vestita acconciata truccata per partecipare a una delle tante feste di cui era tra le protagoniste. Al momento in cui si guardò nello specchio, vide la sagoma di un demonio. Distolse lo sguardo e cercò altri specchi. Inutile. Anche quelli le rimandavano un'immagine orribile.
Villana capì. Si levò i vestiti, ne indossò altri ben più austeri. Corse al Convento di S. Maria Novella, si confessò, e divenne terziaria domenicana. Da allora portò una grossa catena sulla nuda carne, che, scrive Brocchi, portandola tutto il tempo di sua vita, fu veduta poi dopo la morte incarnata in maniera, che non potette senza strapparle la carne esser levata.
Non abbandonò affatto la famiglia né i relativi doveri, ma si dedicò instancabilmente a opere di carità, alla lettura e alla meditazione soprattutto sulle Lettere di S. Paolo Apostolo, alle questue porta a porta.
Riprese digiuni, penitenze, mortificazioni. Dormiva sulla nuda terra e aveva per guanciale un sasso. Tutto ciò non poteva non avere conseguenze sul suo fisico. Il 29 gennaio 1361, al termine di una lunga agonia, dopo essersi fatta mettere l'abito domenicano, volle ascoltare le parole della Passione di Cristo. Udito Et inclinato capite emisit spiritum, spirò. La stanza si riempì di profumi. La sua salma rimase esposta per trentasette giorni, senza subire, secondo le cronache, il minimo cenno di decomposizione.
Se il cordoglio in città fu unanime, non lo furono affatto i pareri sulla sua condotta. I pettegolezzi su Villana quando era animatrice di feste & festini non si erano spenti del tutto e, forse come oggi, erano certo più intriganti rispetto a quelli sulla sua condotta dopo la (ri)conversione. Ancora nel 1365 Franco Sacchetti, in una lettera all'amico Iacomo Conte da Perugia, parlando del proliferare dei Santi e Beati locali, scrive: "E' predicatori hanno Beata Giovanna con l'orcio dell'olio dipinta (...); hanno Beata Villana, che fu mia vicina, e fu giovane fiorentina, pur andava vestita come le altre, e fannone già festa; e San Domenico si sta da parte"
La devozione però ebbe la meglio, anche grazie ai numerosi miracoli operati da Villana dopo la sua dipartita. Naturalmente la sua tomba, in S. Maria Novella, si coprì abbastanza rapidamente di ex voto. In seguito la salma fu traslata dalla navata destra a quella sinistra dove si trova tuttora. Uno dei suoi nipoti, Sebastiano di Iacopo di Rosso Benintendi, commissionò un monumento funebre, quello nella foto d'apertura, a una all stars di scultori: Bernardo Rossellino scolpì il volto della Beata, Antonio Rossellino l'angelo di sinistra, Desiderio da Settignano quello di destra.
Secondo Fra' Girolamo, poco dopo la morte, Villana comparve ad alcune monache che vivevano in uno dei romitori allora esistenti sul Ponte di Rubaconte, oggi Ponte alle Grazie. Queste, estasiate, le chiesero se era davvero la Beata Villana. E lei rispose: "Io adesso, che sono in cielo, non mi chiamo più Villana, ma Margherita".
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