Il 1° gennaio 1779 il Granduca Pietro Leopoldo emise un'ordinanza in cui si stabiliva che le parrocchie entro le mura delle città non potevano avere sotto la propria giurisdizione popoli di fuori le mura; e che le chiese dipendenti da monasteri, ma in sede distaccata, dovevano essere officiate da un membro del clero secolare, ovvero un parroco o un curato, per giunta inamovibile.
Il provvedimento non preoccupò più di tanto la chiesa di S. Lucia al Prato, che avrebbe perso il territorio - appunto - fuori della Porta al Prato. E pazienza. Ci fu allarme invece in due monasteri: quello dei domenicani di Santa Maria Novella e quello delle monache di San Donato a Torri.
L'antica chiesa di S. Jacopino, nella piazza omonima, in una foto di un centinaio d'anni fa |
Le monache di S. Donato a Torri facevano già officiare da un curato, ma di loro scelta e - fatto non secondario - non inamovibile. Un curato imposto dall'alto e inamovibile poteva significare non solo una spesa in più anche per loro, ma soprattutto un notevole rischio di perdere l'autonomia, e il pericolo che gradualmente il convento divenisse in funzione della parrocchia e non viceversa.
Francesco Gaetano Incontri, Arcivescovo fiorentino, si trovò in notevole difficoltà. L'idea di donare S. Jacopo all'Arcivescovo stesso non piacque a quest'ultimo: sarebbero stati nuovi oneri per l'Arcidiocesi. Insomma, S. Jacopo in Polverosa sarebbe stato una palla al piede per tutti. Finché non si trovò una soluzione apparentemente valida per entrambi gli istituti..
I Frati domenicani donarono il patrocinio di S. Jacopino alle monache. La cura di S. Donato veniva soppressa e S. Jacopino diventava parrocchia, incamerando il popolo fuori le mura di S. Lucia sul Prato, quello delle Cascine dell'Isola e naturalmente quello di S. Donato.
Nella chiesa attuale di S. Jacopino, sulla controfacciata a destra, possiamo vedere la lapide che celebra il precedente ampliamento e poi la donazione di S. Jacopo in Polverosa, e che nella chiesa era stata affissa:
Pervetustum S. Iacobi Apostoli Sacellum
Quod ab anno MCCL PP. S. M. Novellae O.P.
Sivi Vindicarunt
In Hanc Ampliorem Formam
Anno MDCCXXXVI Restitutum
Monialibus S. Donati in Polverosa
Cum Hortulo et Canonica Adnexis
Libera donatione Concesserunt
IV No. Octobr. MDCCLXXX
Rog. Ser. Joseph Spinetti
Ciò voleva dire che adesso i Frati domenicani avevano un grattacapo di meno, non dovendo più occuparsi di una chiesa piccola e all'epoca abbastanza isolata e distante dalle mura cittadine. Le monache di S. Donato, ora che non avevano più la cura in casa, vedevano salva la loro autonomia. Il parroco di S. Jacopino se ne stava a debita distanza e non poteva in alcun modo influenzare la gestione del monastero.
Tutto per il meglio, quindi? Decisamente no. La scelta delle monache si rivelò poi paragonabile a quella, ben più nota, compiuta dalla famiglia Bischeri.
Del patrocinio di S. Jacopino le suore ebbero, in sostanza, nessun onore e tutti gli oneri. Solo per pagare i lavori di ampliamento della canonica, le nuove suppellettili e i nuovi paramenti resi necessari dalla nuova condizione di parrocchia, dovettero vendere una casa in S. Lorenzo. Ed era solo l'inizio. Nel 1786, ad esempio, fu loro presentato il conto della costruzione di un cimitero unico per i popoli di S. Jacopino, S. Maria a Novoli e S. Cristofano, imposta dal Granduca. Ebbero dei grossi problemi col parroco Don Giacinto Frullani, che pretendeva il pagamento delle decime da una popolazione che in buona parte non metteva insieme il pranzo con la cena. Lo stesso Arciduca rifiutò. Frullani se ne andò sbattendo la porta nel 1792, e il parroco che lo sostituì - Don Paganini - se ne andò a sua volta nel 1797. Subentrò tale Don Gabrielli. Tutto ciò non giovava alla reputazione del convento.
L'idea di far sopprimere la cura di S. Donato si risolse poi in un boomerang, in quanto ormai tirava il vento favorevole alla soppressione degli ordini monastici e, se le monache fossero rimaste legate a una parrocchia, avrebbero avuto uno scudo di protezione in più. Nel 1797 l'Arcivescovo Antonio Martini passò il monastero e parte del popolo di S. Donato sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Maria a Novoli, del piviere di S. Stefano in Pane, dunque chiesa di campagna. La fine del Monastero di S. Donato a Torri sarebbe stata inevitabile anche se non fosse giunto il colpo di grazia, datato tra il 1808 e il 1810, delle soppressioni napoleoniche.
Nel 1825 l'area, già in stato di penoso abbandono, fu acquistata dai Demidoff, e iniziò un'avventura dai risvolti straordinari e di cui riparlerò, ma che comportò, tra le altre cose, la distruzione completa del convento, mentre la chiesa fu adattata a biblioteca.
Le andò di lusso. Teniamo presente, in termini di confronto, che lo splendido oratorio di S. Caterina all'Antella, ancora negli anni 80 del secolo scorso, era ridotto a pollaio. Ma anche questa è un'altra storia.
Dai Libri di Ricordanze della SS. Annunziata di Firenze:
RispondiElimina16 Giugno 1779 S.A.R. comunica a tutti gli Ordini Regolari, che il Governo non gradisce il sistema di tenere nei Conventi di città un maggior numero di sacerdoti, che in gran parte resta inutile, lasciando sprovvisti i Conventi di campagna
25 Novembre 1779 Per ordine Sovrano è stato intimato a tutti i Superiori regolari, che nei respettivi Conventi de' loro ordini, esistenti in Campagna, facciano fare da alcuno de loro religiosi la Scuola di Leggere, Scrivere e d'Abbaco.
Questa disposizione ne ribadisce una del Gennaio 1778 e non ancora eseguita
Direi: San Jacopino fu Donato. Prima lo donò il Salvi. Poi lo fece donare... il Granducato.
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