sabato 12 novembre 2016

"Io Arcivescovo? No, grazie!" disse l'Angelico al Papa.

"Madonna delle ombre", Museo di S. Marco, Firenze
Se non si può certo esaurire la figura di Fra' Giovanni Angelico in un solo post, neanche vi si possono esaurire tutti i luoghi comuni di cui è stato prigioniero per secoli. E prigioniero in buona parte lo è ancora, nonostante l'inizio della sua rivalutazione e riconsiderazione risalga al 1940. Fu allora che Roberto Longhi,  all'interno della storica monografia "Fatti di Masolino e Masaccio", compì la prima analisi moderna dell'opera dell'Angelico. Vennero poi la grande mostra fiorentina del 1955 per il 500° della sua morte, due studi di Miklós Boskovits del 1976, quelli di Diane Cole Ahl del 1980 e 1981. L'elenco potrebbe continuare. Ma a tutt'oggi non si è riusciti a spazzare via del tutto l'effetto di un passo del Vasari che fece più danni della grandine: "Dicono alcuni, che Fra Giovanni non avrebbe messo mano ai pennelli, se prima non avesse fatto orazione. Non fece mai Crucifisso, che non si bagnasse le gote di lacrime". Da due frasi, un fiume di cliché. Il fraticello mite e ingenuo, fragile e un po' sfigato, giottesco fuori tempo massimo, chiuso nel suo convento, occupato a fare santini - un po' meglio della media - e ignaro di quanto accade nel mondo.
Non fu così. Ne riparlerò a più riprese, ma stavolta vorrei smontare l'idea del misero fraticello fuori dal mondo.
Guido di Pietro, poi Fra' Giovanni, entrò non a caso nell'ordine mendicante dei Domenicani, per i quali la cultura e la conoscenza avevano un ruolo non secondario nell'opera di evangelizzazione. Il suo intento era di diffondere la Parola di Dio attraverso la pittura, sfruttando il talento smisurato che il Medesimo gli aveva concesso (altro che santini). Sul finire degli anni '30 del '400, dopo l'immatura scomparsa di Masaccio, era il pittore più noto e stimato di Firenze. Analisi accurate delle sue opere hanno ultimamente messo in luce un retroterra culturale di assoluta eccellenza, influenzato dai nomi più importanti dell'umanesimo fiorentino, che sicuramente Fra' Giovanni aveva conosciuto e frequentato (altro che chiuso nel convento).

Esempi ce ne sono parecchi, ma basti pensare allo straordinario Giudizio finale, oggi nel Museo di San Marco. Purtroppo, sia detto tra parentesi, penalizzato da una pessima illuminazione.
Il dipinto, realizzato verso il 1425-1430, fu commissionato per il monastero camaldolense di S. Maria degli Angeli, ed è con ogni probabilità frutto di lunghe conversazioni con Ambrogio Traversari, che nel monastero viveva. Alcuni elementi, senza dubbio ispirati dall'erudito umanista, sono rivoluzionari dal punto di vista della rappresentazione religiosa: come la presenza di Abramo e Mosè ai lati del Cristo. La danza dei beati nel giardino fiorito anticamera del Paradiso (rappresentazione rimasta insuperata) si rifà alla Repubblica di Platone. E a quei tempi un testo del genere non è che potevi ordinarlo su amazon.com.  La fuga verso l'orizzonte dei sepolcri scoperchiati cela dei significati ancora oggi non chiariti.
Fra' Giovanni ebbe rapporti molto stretti con Papa Eugenio IV. Nel 1439, sotto il suo pontificato si tenne a Firenze il Concilio che sancì una purtroppo effimera riunificazione della Chiesa Cattolica con la Chiesa di Costantinopoli. Fu uno dei massimi successi diplomatici di Cosimo de' Medici, che aveva voluto fortemente la sua città come sede dell'evento. In quei giorni Firenze fu capitale mondiale della cultura. Il convergere di umanisti laici e religiosi, artisti, architetti, musicisti, scienziati, matematici, occidentali e orientali diede vita a un consesso forse irripetibile. Fra' Giovanni dovette sguazzarci come un pesce nell'acqua.

Trasfigurazione.
Cella 6 corridoio est Convento S. Marco.
Nello stesso anno iniziò la ricostruzione della Chiesa e del Convento di S. Marco, finanziata da Cosimo, il quale incaricò per i lavori l'architetto Michelozzo e per le decorazioni Fra' Giovanni.
Questi, oltre a dipingere la monumentale Pala di S. Marco per la chiesa, in massima parte dipinse, e comunque coordinò, l'affrescatura dei locali del Convento, compiendo una delle più grandiose e belle imprese pittoriche della storia. 54 composizioni con oltre 320 figure umane, realizzate tra il 1438 e il 1445. Alla consacrazione della Chiesa (6 gennaio 1443) era presente il Papa.

Non c'è da sorprendersi se Eugenio IV convocò Fra' Giovanni a Roma perché contribuisse con altri artisti del calibro di un Filarete a una sorta di rinnovo e ristrutturazione artistica dell'Urbe. Il frate pittore vi si recò verso la fine del 1445.
Qui s'inserisce l'episodio della proposta fatta dal Papa a Fra' Giovanni di divenire Arcivescovo di Firenze, cui quest'ultimo oppose un cortese rifiuto caldeggiando il nome di Antonino Pierozzi. Non tutti sono concordi sulla sua veridicità. Vasari lo riporta sbagliando il nome del Papa. Secondo Frosino Lapini, che redasse nel 1569 una biografia di S. Antonino, Fra' Giovanni non ricevette dal Papa alcuna proposta, ma solo una richiesta di parere su chi nominare. Umilmente ma con forza, suggerì l'ascetico Priore del Convento di S. Marco, autore della monumentale Summa moralis. Eugenio IV gli dette ascolto.
Venturino Alce, nel suo volume Angelicus pictor (1993), riporta tuttavia una deposizione al processo di canonizzazione di S. Antonino, datata 1516. Il sessantaquattrenne Carlo de' Gondi dichiarava:

Essendo l'Arcivescovado fiorentino privo del suo pastore, un certo fra Giovanni dell'Ordine dei Predicatori, frate professo del convento di S. Domenico di Fiesole, il quale era molto eccellente nell'arte della pittura, era in quel tempo presso il sommo Pontefice, cui era grato e accetto, il sommo Pontefice voleva creare lo stesso fra Giovanni Arcivescovo.
Il detto fra Giovanni, avendo ciò saputo, rifiutò e non volle accettare, e, scusandosi, persuase il Pontefice che la diocesi fiorentina aveva bisogno di un pastore più dotto e più prudente di lui; che se la sua Santità desiderava provvedere la diocesi di Firenze di un un buon pastore, creasse ed eleggesse in Arcivescovo e pastore Fra Antonio da Firenze, frate professo del convento di S. Domenico di Fiesole, religioso veramente dotto e buono.

Affidabile? Forse. Ma proviamo ad affermare che si trattava solo della riproposizione di un pettegolezzo, e a prendere per buona la versione del Lapini. Emergerebbe lo stesso in modo inequivocabile la considerazione in cui Fra' Giovanni era tenuto dal colto e illuminato Eugenio IV. Purtroppo i lavori fatti dall'artista per questo Pontefice (secondo le fonti, in San Pietro e nel Palazzo Apostolico) sono andati perduti. Ancor maggiore stima ebbe per il frate il Papa che successe a Eugenio. Tommaso Parentucelli, che prese il nome di Niccolò V, era uomo di cultura ancor più vasta, oltre che fautore di un ritorno della Chiesa ai valori protocristiani della povertà e della carità. Aveva collaborato nella realizzazione della biblioteca del Convento di S. Marco quando ancora era Cardinale, e così aveva conosciuto Fra' Giovanni. Salito al soglio pontificio nel 1447, anch'egli lo volle nel suo team, diremmo oggi, e commissionò, a lui e ai suoi collaboratori tra cui Benozzo Gozzoli, la decorazione dello studiolo (anch'esso perduto) e della Cappella Niccolina.

Martirio di S. Stefano, Cappella Niccolina, Roma
Di questo capolavoro assoluto dell'Angelico e dell'arte rinascimentale, nonché delle relative non poche implicazioni artistiche, teologiche, culturali, Antonio Paolucci parla con l'efficacia e semplicità che gli sono proprie in questo bel video girato dal mio amico Mauro Baroncini nel 2010. Fra' Giovanni dipinse nella Cappella anche la pala d'altare, oggi perduta. Doveva trattarsi di una Deposizione. Ne resta una sola, flebile traccia in questa illustrazione su un periodico intitolato L'album - giornale letterario e di belle arti, datato dicembre 1853.


  

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