Presso Borgo S. Lorenzo, nel cuore del Mugello. La
faticata che si fa a raggiungere, dal Poggio di Ronta per una stradina erta e
stretta, la rocca di Pulicciano, è ampiamente compensata dal panorama
mozzafiato che quasi ci aggredisce una volta affacciati al parapetto. Oggi
possiamo approfittare di questa posizione per bearci pacificamente della magnificenza
del paesaggio mugellano.
In passato, invece, esisteva un castello. Lo storico Carlo Celso Calzolai riporta una tradizione, di cui però non ho trovato conferme, secondo cui sarebbe stato fondato dalla Contessa Matilde. Federico II lo confermò agli Ubaldini nel 1220, ma nel 1254 lo acquistò il Comune di Firenze. Padre Lino Chini (1875) lo descrive in pochi tratti: "Questo castello (…) era uno de' più belli e
più inespugnabili del Mugello. Circondato di forti mura, guernito di bastite e
di torri mirabilmente serviva a tenere in rispetto i feudatari dell'Alpi, e
guardare il passo degli Appennini tra le Romagne e l'agro fiorentino dalla
parte di Val di Lamone. Campeggiava sublime da lungi, e parea a chi lo guardava
il guardiano de' monti mugellani, dominandoli da ogni lato."Pulicciano fu per molto tempo un luogo la cui importanza strategica era ben nota agli eserciti, e fu testimone di numerosi assedi. Sulla facciata della superstite chiesa di Santa Maria, una lapide ricorda il più importante di questi, che risale al 1303, ed ebbe tra i protagonisti indiretti Dante Alighieri. Il Divino Poeta, allora già esule, aveva aderito alla fazione dei Guelfi Bianchi, i quali insieme con i Ghibellini stavano armandosi per fare ritorno a Firenze. Alla guida del riminese Scarpetta degli Ordelaffi, 6.000 fanti e 800 cavalieri occuparono il contado fiorentino ed espugnarono il borgo, ma non la fortezza di Pulicciano. Il podestà fiorentino Fulceri da Calboli intervenne immediatamente, sconfiggendo Scarpetta e provocando lo scompiglio generale del suo esercito, la maggioranza dei cui componenti fuggì a precipizio. Degli altri, Fulceri fece poi una carneficina.
La
frase sulla lapide che vuole la rocca lieta dello scampo di Dante richiede
almeno due precisazioni. Innanzitutto lascerebbe supporre una presenza del Vate
a Pulicciano durante l'assedio, ma non fu così: nessuno degli storici ne fa
menzione, mentre è data per certa la sua partecipazione all'adunata dei Bianchi
nella chiesa di San Godenzo l'anno precedente. In secondo luogo, la letizia per
il suo scampo non fu immediata: dapprima, al contrario, i Bianchi gli avrebbero
fatto volentieri la pelle o giù di lì, perché era stato lui a suggerire come
capitano Scarpetta, poi risultato del tutto incapace. Dante si trovò insomma nella situazione di tanti
odierni presidenti di squadre calcistiche, i quali sbandierano di avere
acquistato lo straniero eccezionale fenomeno super campione, che poi si rivela
una ciofeca. Anche allora c'era bisogno di qualcuno cui dare la colpa, e toccò
al Sommo Poeta. Dante non fu certo l'unico responsabile della disfatta, ma fu
allora che abbandonò la militanza nei Bianchi, dopo un anno scarso, e fece
'parte per se stesso'.
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