sabato 20 ottobre 2018

Artisti (non) per caso


Sabato 27 ottobre 2018, alle 10.30, avrò il gradito compito di presentare, presso la sala del Comune di Dicomano (FI), la mostra di due amici artisti: Daniele Passiatore e Carlo Tesori.
Acquarellista il primo, mosaicista, scultore e, diremo così, assemblatore il secondo, come spesso capita hanno trovato una perfetta intesa nella loro totale diversità di stili. In realtà i punti che li accomunano non mancano. A cominciare dal fatto che l'approdo all'arte e alla creatività è stato per entrambi casuale, ed è avvenuto in età matura.

Daniele Passiatore
Daniele, classe 1954, di Contea (FI), ha gestito per anni con successo una ditta di attrezzature per la refrigerazione. Gli capitò un giorno, rovistando nel suo garage, di imbattersi in una cassetta di colori, impolverata e mezza scassata, che apparteneva al suo babbo. L'affidò a un falegname perché gliela riparasse. Era il 2006. Iniziò tutto quasi senza che Daniele se ne accorgesse. L'appassionarsi all'uso dei colori a olio, l'accorgersi che i risultati c'erano nonostante non avesse mai dipinto né frequentato scuole di sorta fino allora. Nel 2008 il colpo di fulmine per l'acquerello. "Era più difficile", racconta, "con l'acquerello non puoi permetterti di sbagliare, il tratto non si può correggere, non ci si può ridipingere sopra. Una distrazione e il lavoro è rovinato. Una sfida che ho voluto raccogliere."

Quotidianamente rivedendosi e migliorandosi, con umiltà e caparbietà Daniele ha saputo raggiungere risultati espressivi di straordinaria poesia e suggestione. Aggiunge talvolta un tocco di originalità, dipingendo su una pagina di giornale imperniata sul soggetto raffigurato: il tram, ad esempio, o il treno, che ricorre non di rado nella sua opera e, complice l'uso dell'acquerello, pare quasi farsi immagine onirica, ricordo evanescente, memoria da non lasciar scivolare via. Poche pennellate, invece, sono sufficienti per tratteggiare atmosfere agresti, paesaggi rurali sospesi, la natura al lavoro col tramite dell'attività umana. Daniele andrà ancora avanti nella sua ricerca, e continuerà a sorprenderci. 



Carlo Tesori
Per tutt'altre vie continua a sorprenderci Carlo Tesori. Un anno più di Daniele Passiatore, nativo della Rufina (FI), ha lavorato in un'azienda di ceramiche. Nel 2003, andando per funghi nella sua amata campagna, rinvenne un blocco di castagno. Gli venne voglia di scolpire e ricavarne una figura. Ci riuscì. Il resto venne quasi da sé. Si appassionò sempre di più alla creazione artistica, iniziò a dipingere a olio, ma in seguito si diresse verso una via assolutamente originale: quella che lui stesso chiama le cose strane
Non serve, accanto alle sue 'sculture' (capirete il perché delle virgolette), apporre cartellini con su scritto si prega di non toccare. Perché il suo stupefacente ragno è ricoperto di spine di acacia dipinte, e si lascia ammirare ...senza avvicinarsi troppo. Opere come questa, Carlo ne ha realizzate parecchie, con una pazienza certosina. All'esposizione vedrete una pantera nera che ha richiesto un qualcosa come 90.000 spine, una quantità imprecisata di vinavil, una tenacia non indifferente nell'apporle una dopo l'altra e un non esiguo numero di punture e tagli alle dita. 

È valsa la pena? Chi vede i risultati non avrà dubbi. Una volta passata quella sorta di inquietudine ancestrale dapprincipio generata dai soggetti, tra i quali spicca anche un drago, lascerà lo spazio a una incondizionata ammirazione. E non crediate che i mosaici siano un lavoro più tranquillo. "Un mio amico realizza vetrate artistiche, per le chiese e per appartamenti privati. Mi lascia sempre gli elementi scartati, che io poi assemblo, e pure qui magari ci scappa il taglietto al dito". 
Anche in questo caso, se è valsa la pena ve ne potrete rendere conto visitando la mostra. 


La quale mostra, ripeto, s'inaugura sabato 27 ottobre alle 10.30 e resterà visibile fino al 25 novembre durante gli orari d'apertura del Comune di Dicomano. In più, il sabato con orario 9-12.30, 15-19, 21-22.30 e la domenica 10-12 e 16-18. 


lunedì 15 ottobre 2018

Il periodo blu di Enrico Pazzagli

A un'età in cui anche gli artisti, se non tirano i remi in barca e si adagiano sulle passate glorie, per lo meno rallentano l'attività e restano su sentieri a loro ormai ben noti perché percorsi e ripercorsi, Enrico Pazzagli può permettersi di continuare a cercare e sperimentare nuove soluzioni e vie espressive. Non solo: può permettersi ancora di sorprendere. Tornare a trovarlo, dopo tutto sommato neanche tanto tempo, è stata per me una continua rivelazione.


Enrico mi accoglie mostrandomi un grande Fabrizio De André in blu. Ho voluto fotografarlo con il pannello in mano, per il gusto di riecheggiare il Renée Magritte ritratto da Bill Brandt. L'opera è molto bella, ma lascia interdetti. Non è quello che ti aspetti da un pittore noto soprattutto per i suoi proverbialmente stupendi acquarelli, di concezione completamente diversa. È vero, Enrico Pazzagli non è solo acquarelli. Lo avevo spiegato anche in un post precedente. Questo che, mi spiega, "per me non è il ritratto di De André, è De André", ci appare però qualcosa di assolutamente inedito. Ma lo è davvero? 

Per rispondere, Enrico mi mostra alcuni prodotti di una sua attività meno nota, anche se non meno intensa: quella di scenografo e di cartellonista. In particolare, nel 1974 l'Accademia degli Audaci gli chiese di creare un manifesto standard per la pubblicizzazione degli eventi. Enrico creò una immagine di notevole impatto grafico, che poi avrebbe fatto anche da scenografia per un concerto. Mi mostra il manifesto, et voilà, nella cascata di capelli femminili della maschera sullo sfondo di luna individuiamo il germe che ha condotto alla frastagliatura dei capelli del cantautore. Ci sono altri esempi della stessa epoca, ma questo è il più significativo.
Così, riflettere su un'attività lontana nel tempo è servito ad Enrico per andare ancora avanti, e proseguire la sua ricerca che séguita a dare risultati, concretizzatisi non solo nel De André. Esaminando e ammirando altre sue opere recenti, non posso fare a meno di notarvi la predominanza del blu. "Facci caso, sono pure vestito in blu! Non so se chiamare quello attuale il mio periodo blu, ma la sua predominanza è indubbia. Forse ora più di prima, anche se il blu è sempre stato il mio colore preferito." 

Predominanza che ritrovo in due tavole - anch'esse inconsuete ma dallo stile ugualmente inconfondibile - in truciolato, per lui altro elemento di ricerca. "Questa superficie irregolare è stimolante, per il colore, per il gioco di riflessi, per le forme da costruirvi." La tavola in verticale che si vede nella foto d'apertura mostra sì la ramificazione di un albero, ma a dominare l'atmosfera è la sfumatura del cielo. Come nell'altra tavola, sempre in truciolato, che presenta le intricate radici di una pianta forse millenaria. È sul cavalletto, è da finire, mi dice Enrico. Azzardo la frase forse più odiata dai pittori, ma che mi pare in questo caso opportuna: "Io lo lascerei così!". E lui riconosce che forse l'idea non è sbagliata. 
Concluso splendidamente, invece, e sempre dominato da tonalità tra l'azzurro e il blu, è un paesaggio evanescente e pazzagliano come pochi altri, che Enrico sta per presentare, insieme con altri due, a una collettiva che si aprirà tra pochi giorni alla Vecchia Propositura di Scarperia. 



sabato 6 ottobre 2018

Elisa va alla guerra


Conobbi Elisa Fiorelli quando, nell'ottobre 2014, allestì la sua prima mostra sulla Grande Guerra nelle sale della Casa di Giotto a Vespignano. Riporto parte di quanto scrissi sul Galletto

Per realizzare la mostra storico fotografica e di reperti sulla Prima Guerra Mondiale inaugurata alla Casa di Giotto a Vespignano sabato 11 ottobre, Elisa Fiorelli ha impiegato quattro mesi di preparazione e undici anni di ricerche. Elisa, Nata a Fiesole e vicchiese dal 1996, aveva 16 anni quando iniziò le ricerche del fratello di suo nonno, ragazzo del '99 disperso al fronte. Con caparbietà inusitata e con l'aiuto di un signore di Livina Longo del Col di Lana, poté infine appurare che era stato ucciso il 19 giugno 1918, praticamente subito dopo la partenza per il fronte, e fu sepolto sul Montello (TV). Ma l'indagine svolta non poteva non avere, diciamo così, effetti collaterali sull'indole di Elisa, la quale si è data da fare perché tutto quanto è venuta a sapere in merito alla Grande Guerra potesse essere condiviso, così come tutto il materiale raccolto: medaglie, borracce, granate, diari di guerra. E fotografie. Soprattutto fotografie. Bellissime, comprate da collezionisti, scannerizzate e ingrandite. Bellissime, s'intende, nella loro drammaticità. Fotografie di un'epoca senza smartphone, e in cui scattare istantanee era difficile se non impossibile, sicché si faceva mettere in posa i combattenti. E anche così emerge spietata "la sofferenza di persone come il mio bis zio", per usare le parole di Elisa. "Persone che avrebbero voluto una vita normale, e non poterono averla, e la più parte non sapeva neanche perché. Durante la presentazione, Francesco Rossi, del Gruppo Alpino "Carlo Manzani", ha parlato, senza nascondere l'emozione, delle analogie tra la storia raccontata da Elisa e quella dell'alpino cui il gruppo è intitolato, ucciso nel 1915, e i resti del quale furono ritrovati solo nel 1984 e riportati a Vicchio l'anno seguente, e adesso riposano proprio nel cimitero di Vespignano. 



Quattro anni dopo, Elisa è di nuovo sul Colle di Vespignano. Nuova mostra. Titolo: La Grande Guerra. Foto inedite, cimeli e testimonianze. Sarà visitabile nei fine settimana con orario 10-13, 15-19 fino al 25 novembre. 
Stesso Argomento. Una replica? Neanche per sogno. Elisa in questi anni non si è fermata. Ha raccolto ulteriori informazioni sui caduti mugellani, che superano i 1530, e in particolare quelli di Vicchio. Sulla leva, sulle località di destinazione. È tornata nei luoghi dei combattimenti. Località nel complesso del Monte Grappa, I Solaroli, Montello, Col dell'Orso. Ha raccolto nuovo materiale, immagini, testimonianze.

Elisa mi racconta tutto questo mentre, nella sala al piano superiore, sta risistemando una cartolina d'epoca che, dentro una cornice, séguita a scivolare giù. Questa meticolosità dà un'idea di quanto lavoro le è costato questo allestimento, che però ha dato i suoi risultati. L'esposizione è, se possibile, ancora più affascinante di quella precedente. 



Nuove foto, altri reperti. Elmetti, borracce, picconi, palette, proiettili, obici, cartucciere, armi arrugginite, assemblati con sapienza perché ognuno riceva dal visitatore l'attenzione che merita. Si esce dalla mostra col cervello saturo di quesiti inquietanti. Cento anni fa, la vittoria. A che prezzo? Una parziale, ma importantissima risposta, l'abbiamo qui. E un'altra l'avremo all'uscita del libro che Elisa ha ricavato dal suo lungo lavoro. Uscita che, mi dice, dovrebbe essere proprio per il 4 novembre. Titolo: Frammenti della Grande Guerra. Diario di guerra di Mario Checcucci - Pino, uno dei ragazzi del '99 - I caduti vicchiesi - archivio fotografico. Edizioni Noferini. Ho potuto rapidamente sfogliarne una copia in anteprima. La parte iconografica mi pare impressionante, e per quantità e per bellezza d'immagini. Il testo comprende molti elenchi, non di rado angoscianti nella loro essenzialità. Mi limito a riportare un dato che mi ha quanto meno disorientato. Tra i caduti mugellani, 112 hanno trovato la morte per le ferite riportate, ma 131 sono morti di malattia. E questo, uno che magari non si era posto il problema, non se l'aspetta. Ma restiamo in attesa di poter esaminare con calma questo nuovo contributo alla conoscenza della storia della Grande Guerra.