domenica 30 ottobre 2016

Sant'Ansano e una leggenda (quasi) metropolitana


Nella notte tra il 23 e il 24 novembre 1903, ignoti si introdussero nella isolata chiesa di Sant’Ansano (Borgo San Lorenzo) e rubarono un quadro su tela raffigurante il santo titolare, che “vuolsi sia opera antica di insigne autore”, come riportato sul Messaggero del Mugello del 29 novembre (il ritaglio l’ho avuto dall’inesauribile Aldo Giovannini). Di questo dipinto, a quanto mi risulta, non se ne è saputo più nulla. Sarà nella collezione di qualche antiquario, magari oltreoceano. Rimane a tutt’oggi irrisolto un ulteriore dubbio, quello sul suo autore. Era stato ipotizzato fosse di Francesco Furini. Possibile? Quasi di sicuro no, e vedremo perché.



Francesco Furini (1603-1646) fu un pittore fiorentino. “Studiò presso il Passignano, G. Bilivert e M. Rosselli, e con Giovanni da S. Giovanni; lavorò a Roma all'affresco della Notte nel Casino di palazzo Pallavicini-Rospigliosi. A Firenze si rese noto con numerose opere di soggetto mitologico (Ila e le ninfe, ecc.) e religioso, che ottennero grande successo specialmente per la delicatezza con cui vi seppe trattare il nudo femminile, prediligendo suggestivi effetti di sfumato” (Treccani).

Ila e le Ninfe, prima del 1633, Galleria Palatina, Firenze

Lot e le figlie, dopo il 1634, Prado, Madrid

I suoi nudi furono giudicati sensuali e spesso audaci per l’epoca, il che da un lato gli procurò una critica estremamente severa da parte del quasi coevo storico Filippo Baldinucci, e dall’altro risultò ancor più stridere con la sua decisione, nel 1633, di farsi prete. Difficile dire se fu spedito nella sperduta frazione di Sant’Ansano anche per questo motivo; secondo il Baldinucci, ebbe la vocazione “per poter in una quasi solitudine attendere agli studi dell’arte sua, e molto più allontanarsi dalle occasioni del mondo”. Lo storico Arturo Stanghellini, nel 1913, sostiene più prosaicamente che “quella del Furini più che una crisi spirituale, fu probabilmente una crisi economica”. Ad ogni modo gli storici concordano sul fatto che, belle modelle a parte, fu ottimo parroco e si prodigò per aiutare i parrocchiani, ai quali in sostanza donò la più parte dei suoi guadagni.

Ma torniamo al nostro dipinto. Il Messaggero del Mugello, abbiamo visto, non si sbilancia sull’autore. Francesco Niccolai, nella sua Guida del Mugello (1914) in cui è pubblicata, per quanto ne so, l’unica fotografia dell’opera, afferma “…prima che Francesco di Filippo Furini (…), vi dipingesse sotto i patroni Baldovinetti il suo S. Ansano vestito alla romana, stato disavventuratamente rubato…”. Padre Lino Chini, nella sua Storia antica e moderna del Mugello (1875), scrive: “La tradizione porta che il quadro dell’altar maggiore della detta prioria, figurante il santo titolare, sia lavoro suo”.
Tuttavia gli altri storici, trattando più o meno diffusamente di Francesco Furini, non menzionano mai il Sant’Ansano. Non lo nomina Stanghellini, né il Brocchi nella sua “Descrizione della provincia del Mugello” (1748). Né il Baldinucci, le cui “Notizie sui professori di disegno” furono compilate tra il 1681 e il 1728, e la biografia del Furini ivi contenuta è ampia e documentata. Sono poi degne d’attenzione, a mio parere, due ulteriori fonti. Nelle sue “Notizie del Borgo San Lorenzo” raccolte nel 1742-3, Valentino Felice Mannucci è categorico: “Alla suddetta chiesa di S. Ansano non lasciò il Furini altra memoria che una figura a fresco di Nostra Donna fuori alla Compagnia sopra la porta, la quale non più si vede”. Nell’inventario dell’archivio dei Baldovinetti (S. Ansano era loro patronato), la curatrice Rita Romanelli, oltre a riportare una nota di Giovanni di Jacopo su Francesco Furini, aggiunge: “Giovanni di Poggio [un altro Baldovinetti], in una nota a margine de memoriale, ha precisato che il pittore si fosse trasferito a Firenze, in via delle Ruote, da S. Ansano, il 30 aprile 1645, e che nella chiesa avesse dipinto una Nostra signora a fresco fuori, nella facciata”. In entrambi i casi, dunque, si fa riferimento a un affresco sulla facciata della chiesa, ma non a una tela all’interno. Difficile pensare a una doppia dimenticanza. La sicurezza assoluta non si può avere, certo, ma l’ipotesi che il dipinto trafugato fosse opera del Furini risulta a questo punto davvero poco probabile. L’ipotesi più realistica è che si sia trattato – e saremmo in accordo con il Chini – di una specie di leggenda metropolitana. Beh, metropolitana a Sant’Ansano non è proprio il termine giusto… diciamo una storia raccontata durante le veglie. 

venerdì 28 ottobre 2016

Lasciò il suo paese all'età di vent'anni,

con in tasca due soldi e niente più. Non cominciò a fare la vagabonda girando paesi e città. Approdò a Firenze e, il giorno dopo, già lavorava al Bottegone. Cosa vuol dire avere carattere! E poi, Susi La Rosa, il vecchio paese della sua gioventù - Milazzo - ce l'ha tuttora nei visceri, ed è della sua terra che le sue creazioni parlano da sempre incessantemente. L'Istituto Statale d'Arte di Milazzo e l'Accademia di Belle Arti di Firenze, per fortuna, hanno non imbrigliato ma favorito lo sviluppo inarrestabile di un talento. Gli incontri giusti - per esempio con Filippo Benci: origini e generazioni diverse, sensibilità uguale -, le attività creative in parallelo - corsi per bambini, arredo - hanno poi consolidato ulteriormente il suo cammino.
Susi La Rosa dipinge opere materiche figurative. Non ho inserito il ma tra i due aggettivi, perché lei riesce ad accordarli perfettamente. Altre due caratteristiche rendono i suoi dipinti immediatamente identificabili. Il mono o bicromatismo: solo di rado compare un terzo colore; e i titoli. I titoli sono creativi quanto l'opera, e fondamentali per la stessa. Cosa rara per non dire unica. Sono sempre stato del parere che un titolo dovrebbe essere essenziale ai limiti dell'ascetismo. Giorgio Morandi intitolava tutti i suoi quadri Ritratto, Paesaggio e Natura morta. Susi mi ha fatto ricredere. Nel suo caso, s'intende. Voglio dire, guardate questa tecnica mista presentata alla collettiva Artisti dal Mondo a Firenze per Toscana Expo 2015. Il suo titolo, Dammi un bacittu cu sa buccuzza i rosa, è parte integrante dell'opera. Oltre a fugare eventuali dubbi sulla terra d'origine di Susi.

Mentre in questo selfie ci mostra A vitti e m'innamurai.
Conosco Susi da tre anni. Da qualche anno di più, Mauro Baroncini. Li ho incontrati insieme a Firenze, perché stanno allestendo una mostra alla Biblioteca dell'Isolotto. L'arte di Mauro, fiorentino, già membro del G.A.D.A. (Gruppo Amici Dell'Arte), oggi colonna portante dell'Associazione Giotto e l'Angelico, è agli antipodi rispetto a quella di Susi. "Quando mi proposero una personale alla Biblioteca", mi racconta, "mi dissi: non voglio farla da solo. Chi sarebbe l'ideale per esporre con me? Qualcuno che sia completamente diverso: Susi! Chi altri?" E in effetti, ...non ci sarà pericolo di confondere i due Autori. Mauro fa della sfumatura di colore un'arma estetica formidabile. Più che iperrealista la sua pittura si potrebbe definire iperfigurativa. Nel 2011 lo ritrassi in occasione della sua personale (non l'unica) alla Casa di Giotto di Vespignano, davanti a una sua galleria di ritratti.


Che non sono il suo unico genere. Io ho un debole per i suoi muretti, dipinti con una meticolosità ai limiti del maniacale. Mauro e Susi mi parlano di questo, di espressività, di comunicativa, di radici. Soprattutto radici. Culturali, umane, profondissime, che peschino nella nostra Fiorenza (titolo di un dipinto di Mauro), o si allunghino giù giù nella storia millenaria di una penisoletta siciliana chiamata Milazzo, che si affaccia sul Tirreno ed è abitata dall'uomo a partire dal 4.500 a.C. Susi cita Cielo d'Alcamo, il cui Contrasto Rosa fresca aulentissima... (guarda caso citato da Dante nel De vulgari eloquentia) conosce a memoria e le ha ispirato un'altra sua tecnica mista. Sarà uno dei pezzi forti della mostra. La quale non a caso avrà il bellissimo, arcaico titolo Tuscia et Sikelia. Si inaugurerà alla Biblioteca dell'Isolotto il 2 novembre alle 17 e resterà visibile, nell'orario della Biblioteca stessa, fino al 23 novembre. Nella locandina, l'autentico pezzo di bravura grafico è opera di Pino Marcosano. Che è il marito di Susi. C'è da sorprendersene?



mercoledì 26 ottobre 2016

Quel mozzicone di torre cilindrica a Vespignano

Il terremoto che il 29 giugno 1919 squassò il Mugello, di magnitudo 6.2 e con epicentro a S. Cassiano in Padule, non risparmiò una costruzione unica nella provincia fiorentina. La torre di Vespignano è (stato) l'unico esempio di edificio cilindrico, insieme con la Torre della Pagliazza, situata nel cuore di Firenze in Piazza S. Elisabetta. Secondo Enio Pecchioni, "L’origine della torre [della Pagliazza] è questa: come abbiamo visto sotto la pressione dei Bizantini i Goti rimasti in difesa di Firenze tirarono su una ridottissima cerchia muraria. Cacciati i Goti, a sua volta i Bizantini dopo aver abbandonato il campo militare situato presso Piazza Donatello si barricarono dentro Firenze per reggere l’assedio di Totila. Fu in quegli anni, intorno al 540-542, che la torre della Pagliazza fu edificata con la parte rotondeggiante verso l’esterno della fortificazione."
Riguardo la torre di Vespignano, non esiste documentazione in grado di aiutarci a stabilire la data di costruzione. Si può ipotizzare che sia coeva a quella della torre fiorentina? Probabile, anche se non certo. I primi documenti su Vespignano sono di parecchio posteriori, ancorché altrettanto antichi: salvo errori, si parla del castello de Vispignano per la prima volta in un documento del 1050 citato sul Bullettone.
Vespignano fu dunque un castelletto medievale, le cui mura già nel '700 non esistevano più. Se ne può intuire il tracciato in una visione dall'alto
In seguito, Vespignano fu uno dei tanti piccoli comuni del contado fiorentino. Uno dei più importanti. I suoi abitanti se la passavano tutto sommato abbastanza bene. Nel 1260, il loro contributo al finanziamento della battaglia di Montaperti (sul cui esito stendiamo un velo pietoso), che doveva essere proporzionato alle disponibilità di ciascun popolo, fu di 36 staia di grano (uno staio era uguale a 24.363 litri). Per fornire qualche termine di confronto, S. Piero a Sieve aveva fornito 18 staia, Molezzano (anch'esso all'epoca castello) 20, Scopeto 4. 
Ma la fine del comune era imminente. Due date la sancirono: nel 1295 fu costruito il Ponte di Montesassi, l'odierno Ponte a Vicchio. Nel 1324 fu fondata la terra nuova di Vicchio. La viabilità cambiò del tutto. Vespignano ne fu tagliata fuori e andò incontro a una rapida e inesorabile decadenza.
Archivio Aldo Giovannini
Scarperia, tagliata anch'essa fuori dalla via di comunicazione più importante tra Firenze e di là dagli Appennini dopo la costruzione della strada della Futa (1759), venne a perdere la supremazia civile, amministrativa e giuridica sul Mugello a vantaggio di Borgo S. Lorenzo. Ma rimase un paese vivo e attivo. Vespignano come centro abitato scomparve del tutto. Le sue terre fertili e produttive furono sempre ambite dai ricchi proprietari, ma ancora oggi è un nucleo di poche case. La torre cilindrica, ad ogni modo, aveva ben resistito agli affronti del tempo e, nelle foto e nelle cartoline precedenti il 1919, la vediamo svettare alta - a dire il vero un po' obesa - con in cima i suoi colombaiotti. Ma il terremoto del 29 giugno non fece sconti a  nulla e a nessuno. Non alla torre, non alla prospiciente Casa di Giotto, non alla Chiesa di S. Martino, il cui campanile fu necessario demolire. Se in seguito si volle adattare a torre campanaria la torre posteriore alla chiesa - sul piano estetico una soluzione da codice penale -, a quasi un secolo di distanza dal sisma nulla è stato fatto per ritirare su un unicum nell'architettura fiorentina.    



Benvenuti!

Quando mi domandavo di quali argomenti scrivere in questo blog, mi rispondevo con la premessa 'scriverò soltanto di'. Poi mi sono reso conto che non aveva senso. Non ho mai capito se sia un difetto o un pregio, ma di interessi ne ho veramente una marea, e questo spiega in parte il titolo Umanesimi.
Di sicuro non voglio scrivere di me stesso, ché non penso importi granché a nessuno. Preferisco raccontare storie, ad esempio quelle che mi è capitato di incontrare nel documentarmi per qualcuno dei miei incontri di divulgazione culturale (termine pomposo, lo so, ma che preferisco a 'conferenze', che mi è sempre suonato spiacevolmente accademico). O storie su cui non ho potuto - almeno per ora - costruire incontri. E altre, che in ogni caso troverò opportuno condividere. Anche solo per stimolare la curiosità in chi  legge. Vediamo se riesco a elencare brevemente di cosa scriverò. Si tratta di una versione estesa del sottotitolo del blog.
  • Storia e storie: toscane
  •                        mugellane
  •                        fiorentine
  •                        del quartiere di S. Jacopino
  • Storia (e storie) dell'arte
  • Storia (e storie) delle religioni
  • Ritratti di amici artisti
  • Chiacchierate con amiche e amici che ne sanno più di me
  • Contributi dagli stessi
  • Riproposizione di alcuni miei articoli riveduti e corretti
  • Post d'introduzione a iniziative mie e/o di miei amici
  • Spottoni per le medesime
  • Recensioni delle medesime
  • Fotografia e fotografie (mie, altrimenti lo specifico)
  • Sporadicamente musica, erboristeria, enogastronomia, cinema 
  • Altri argomenti che possano suscitare qualche curiosità
  • Varie & eventuali 
  • Racconti.  
Gradirò integrazioni, correzioni, suggerimenti, critiche circostanziate e costruttive.
Non avrò pietà per chi la butta in caciara.
La veste grafica la migliorerò via via. Datemi tempo.
Grazie per chi vorrà seguirmi. Il brindisi della foto è per voi.