martedì 20 febbraio 2018

Pillole del mio incontro su Fra' Giovanni Angelico






Non posso che ringraziare di cuore e pubblicamente il mio amico Pino Marcosano, cui avevo detto più o meno "beh, se hai voglia, se ti capita, ti va mica di riprendere un paio di momenti dell'incontro?"
E Pino, mago di grafica, computer e grafica al computer, di cui ho accennato anche nel post su Susi La Rosa, con la quale condivide felicemente vita e vulcanica inventiva, ha realizzato (con tanto di sigla!) questa bella sintesi del pomeriggio che ho dedicato all'Angelico, domenica 18 febbraio 2018,  presso la Casa di Giotto a Vespignano. Ed è stato un bel pomeriggio, o almeno così mi è stato detto da chi ha partecipato. 
In questo video, dunque, alcune brevi pillole di quanto ho raccontato della vicenda artistica di Fra' Giovanni Angelico.
Complimenti, Pino, davvero.
E buona visione!
Vi inserisco però un quiz ...sulla mia pelle. A un certo punto, nel parlare mi sfugge un lapsus abbastanza clamoroso, ma di cui nessuno in sala si accorge, s'intende nemmeno io. Senza il video sarebbe rimasto impunito per sempre. Riuscite a individuarlo & smascherarlo?

Madonna dell'uva. Coll. priv., Princeton


Giudizio universale. Museo di S. Marco, Firenze


Deposizione. Museo di S. Marco, Firenze

Volto di Cristo. Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Roma


mercoledì 14 febbraio 2018

L'Angelico che nacque presso Vicchio

Domenica 18 febbraio, presso la Casa di Giotto a Vespignano, alle 16, racconterò a chi vorrà esserci la vicenda artistica di Guido di Piero, ovvero Fra' Giovanni da Fiesole, insomma il Beato Angelico. Dopotutto, dal 1984 in questa data è celebrata la sua festa in quanto patrono universale degli artisti.

In post precedenti ho affrontato alcune questioni particolari che lo riguardano. Un esempio è il problema irrisolto del cognome. Ne ho scritto qui e qui.
Ma di problemi irrisolti sulla figura di Fra' Giovanni da Fiesole ce ne sono parecchi. Un altro  riguarda il luogo esatto di nascita, e so che, scrivendone, farò arrabbiare parecchi amici. Purtroppo la storia non concede deroghe.
E dunque diciamo subito che da un lato sì, sappiamo con certezza che Guido di Piero nacque nel Mugello presso Vicchio, dall'altro la località esatta è tuttora sconosciuta.
Molti documenti originali testimoniano l'origine mugellana dell'Angelico. Quello forse più importante fu esaminato  da Padre Stefano Orlandi, grande studioso dell'Artista, nel 1954 (Rivista d'Arte, vol. XXIX). Si tratta della Cronaca quadripartita di S.  Domenico di Fiesole redatta da Padre Giovanni Maria di ser Leonardo Tolosani nel 1516. È chiamata quadripartita perché Tolosani vi scrisse la storia del convento, l'elenco dei Priori, il Registro della vestizione religiosa dei frati e l'obituario. Nel Registro della vestizione compaiono, senza data,

Fr. Ioannes Petri de Mugello iuxta Vicium optimus pictor qui multas tabulas e parietes in diversis locis pinxit accepit habitum in hoc conventu (... spazio bianco) et sequenti anno fecit professionem. 
Fr. Benedictus Petri de Mugello iuxta Vichium germanus predicti fratris Ioannis qui et fuit scriptor optimus e multos libros scripsit et notavit pro cantu: accepit habitum clericorum (...spazio bianco) et sequenti anno fecit professionem. 

L'assenza di date ha causato problemi e discussioni. Ma questa è un'altra storia. Quello che ora c'interessa è l'indicazione relativa al Mugello presso Vicchio, inequivocabile. E infatti l'origine mugellana dell'Angelico non è mai stata messa in discussione.

Moriano
Naturalmente, sorge il quesito: ma presso Vicchio dove? Ancora Padre Orlandi, dieci anni più tardi, nella sua opera Beato Angelico - monografia storica della vita e delle opere con un'appendice di nuovi documenti inediti (Olschki 1964), tentò di dare una risposta. Formulò l'ipotesi che la località di nascita dell'Artista potesse essere la frazione di Moriano, nel popolo di S. Michele a Rupecanina. 
La traccia seguita dallo studioso, per sua stessa ammissione piuttosto labile, era costituita da due documenti, scrive Orlandi,

concernenti due prestiti fatti dal B. Angelico, a nome del convento di S. Domenico di Fiesole, a Martino di Giovanni da Moriano nel Mugello e ad Antonio, suo figlio, abitanti assieme in Firenze nel popolo di S. Reparata, o S. Maria del fiore, dove esercitavano l'arte di cofanai. 

I prestiti risalgono al 1433 e al 1436, ed erano curiosamente senza interessi. Il che fece ritenere che ciò potesse essere dovuto a una qualche parentela tra l'Angelico e i beneficiari. Ma Padre Orlandi non riuscì a rintracciare vincoli di sorta.  Nondimeno, scovò a Moriano la presenza di tale Antonio di Piero di Contadino, i cui terreni confinavano coi beni di Martino di Giovanni. Calcolò che il Piero padre di Antonio avrebbe potuto avere un'età adatta per essere verosimilmente anche quel Piero padre dell'Angelico. Antonio avrebbe potuto così esserne, se non fratello, fratellastro. Padre Orlandi ammise che si trattava solo di una congettura, mancante "del solido appoggio di un riferimento diretto"

Questa congettura venne a cadere con il ritrovamento, avvenuto a Cortona, di un documento datato 1438. Ne parlò per prima Diane Cole Ahl nel 1977:  è il testamento di Giovanni di Tommaso, mercante e probabile committente dell'angelichiano Trittico di Cortona. Il testamento fu stilato alla presenza, tra gli altri, di  fratre Johanne Pieri Gini de Mugello comitatus Florentie magistro picture.

Il Trittico di Cortona. Cortona, Museo Diocesano
Ecco dunque una ulteriore conferma dell'origine mugellana dell'Angelico. In più, però, per la prima e unica volta compare il nome di suo nonno: Gino. Non poteva dunque trattarsi del Piero di Contadino di cui parlava l'Orlandi. La evanescente traccia che conduceva a Moriano svaniva.
Il documento poteva, è vero, essere un ottimo nuovo punto di partenza per giungere non solo alla località, ma anche alla data di nascita dell'Angelico, altra questione annosa e irrisolta. Ma le indagini compiute da Diane negli archivi non hanno portato a nulla. Esisteva solo un Piero di Gino in San Bartolo in Farneto, ma che non aveva figli chiamati Guido, Benedetto o Checca (sorella dei due). Ulteriori ricerche, a quanto ne so, non ne sono state fatte. Siamo di nuovo punto e daccapo.

Rupecanina
Né può essere d'aiuto quanto mi era stato segnalato riguardo la chiesa di S. Michele a Rupecanina, che l'Angelico avrebbe dipinto sul Trittico di S. Pietro Martire. Spiace dirlo, ma innanzitutto va ricordato che la mentalità di oggi è completamente diversa da quella dei tempi di Fra' Giovanni, e allora a un artista non passava neanche per l'anticamera del cervello di rendere un nostalgico e commosso omaggio, dipingendoli, ai luoghi della propria infanzia o altre simili alzate d'ingegno.

Il Trittico di S. Pietro Martire. Firenze, Museo di S. Marco.
In secondo luogo, quella che si vede in uno degli spazi tra le guglie del Trittico è una chiesa solo un po' somigliante a quella di Rupecanina, per di più come è oggi. E ben difficilmente come poteva esserlo oltre seicento anni fa. Francesco Niccolai, nella sua Guida del Mugello e Val di Sieve (1914) non mostra di disporre di molti elementi in merito: 

Della chiesa, che non ha nessuna apparenza di vetustà, il documento più antico risale a un atto del 1333 in cui un Lapo di andrea di guccio pittore si offriva di risarcirne la canonica; ma doveva già esistere alla fine del secolo XII quando era cominciata già la prima giurisdizione vescovile del luogo. (...) Il disegno primitivo della Chiesa di cui non resterebbero oggi che delle eleganti mensoline del sec. XVI, rimase occultato dopo il rifacimento che ne operava un Lastrucci aprendovi tre archi e mal riducendola all'attuale forma di capanna.

Aldo Giovannini mi ha inviato un disegno che venne eseguito all'indomani del terremoto di Vicchio (29 giugno 1919). 

Non si può sapere a quando risalisse il grande campanile a vela che evidentemente dopo il sisma fu demolito. 

L'Angelico continua dunque a essere oggetto di ricerche, tuttora attive, a volte arenatesi, e discussioni anche accese, non solo sul piano storico documentario, ma anche e, direi, soprattutto sul piano artistico. Nei due post precedenti ve ne ho dato due esempi gemelli. Ma, se domenica 18 febbraio alle 16 venite alla Casa di Giotto a Vespignano, ve ne racconterò altri.

venerdì 2 febbraio 2018

I poster dell'Angelico 2.


Come avete visto nel post precedente, della Tebaide di Budapest abbiamo solo la parte di sinistra, mentre di quella all'estrema destra è rimasta una fotografia prima che andasse venduta, e la centrale è del tutto sconosciuta. Non è certo un'eccezione: un soggetto del genere, fatto di singoli episodi narrativi giustapposti, si presta facilmente ai tagli e alle frammentazioni, per lo più a scopi commerciali. Il dipinto nella foto d'apertura  subì a suo tempo analoga, triste sorte. Nonostante manchi il pezzo centrale superiore, va reso onore al merito di Michel Laclotte e  Anne Leader che hanno saputo identificare e assemblare da principio solo virtualmente questo autentico puzzle i cui cinque pezzi si trovavano in vari angoli del globo: uno ad Anversa, tre in Francia ma in posti differenti, uno a Philadelphia. 
La storia complessiva e le storie rispettive dei tasselli sono dannatamente complicate, e non ancora interamente chiarite. Le riassume Laura Fenelli nel già citato Atlante delle Tebaidi e dei temi figurativi.  "Difficile"  afferma "è giungere a conclusioni certe sia sulla provenienza della tavola, sia sul momento in cui fu smembrata: si può ipotizzare che la traumatica divisione (...) risalga alla fine del XVIII secolo o agli inizi del XIX, quando i pittori primitivi divennero oggetto di commercio antiquario".
Non fu facile comprendere l'unitarietà del dipinto che, come l'opera di recupero e riassemblaggio, ha richiesto anni e ha visto il contributo di storici del calibro di Pope-Hennessey. Si pensava all'inizio a frammenti di una predella. Nel 1999 Anne Leader, scrive ancora la Fenelli, "notò sia la presenza di un piccolo monaco in una grotta nel frammento n. 2 [quello in basso a sinistra], sia la continuità della corda calata da un eremita tra i frammenti nn. 4 e 5 [i due di destra].". Questi ultimi due elementi stavano quindi uno sopra l'altro, non fianco a fianco. 

Immagini tratte da https://quellidelmuseodisanmarco.blog/
Nell'ottobre 2012 mi imbattei in una notizia data dall'ANSA: “Un dipinto inedito del Beato Angelico, conservato nel sud della Francia da un'unica famiglia dal XIX secolo e attribuito al monaco fiorentino solo nel 2005, è stato venduto all'asta a 445.000 euro oggi a Marsiglia.”. Si riferiva al frammento centrale, l'ultimo a essere rintracciato. Ne scrissi sul Galletto, settimanale mugellano, del 3 novembre dello stesso anno, aggiungendo altri particolari che avevo trovato sul web: "Il pannello venduto a Marsiglia è stato attribuito all’Angelico solo nel 2005 da Michel Laclotte, specialista della pittura italiana dei secoli XIV e XV ed ex Direttore del Louvre, che lo ha datato intorno al 1430." E concludevo:  "Sapere che un dipinto dell’artista mugellano è stato aggiudicato per una cifra astronomica può inorgoglire. In realtà quella della vendita di Marsiglia è purtroppo una brutta notizia. La base d’asta era stata tenuta bassa nella speranza che l’opera venisse acquistata da un museo per poter essere ammirata dal pubblico. Speranza vana. Il frammento di Tebaide non era mai stato esposto o prestato per mostre dai precedenti proprietari e, con ogni probabilità, essendo finito nelle mani di un altro – ricchissimo – privato, non lo sarà neanche in futuro." 
Non me ne occupai oltre, e sbagliai. Ero stato decisamente pessimista.  Nell'ottobre 2014, in una mostra al Museo Condé di Chantilly venne presentata la Tebaide nei cinque frammenti ritrovati al completo. Il collezionista si rivelò meno egoista di quanto avevo temuto! Inoltre tre dei cinque pezzi erano stati sottoposti a un restauro che aveva confermato il combaciare dei vari margini e - fatto non secondario - la straordinaria qualità dell'opera, oggi attribuita in modo pressoché unanime all'Angelico con, al più, una collaborazione della sua bottega. 

Il frammento con S. Girolamo (?) dopo il restauro
Non tutto ancora, ripeto, è stato chiarito. Cosa mostra(va) il frammento mancante? Probabilmente una marina, ma ...andrebbe rintracciato. Finora, tutte le ricerche sono state vane. E poi, non c'è accordo sugli episodi raffigurati. In alto a sinistra si vede San Romualdo che impedisce all'imperatore Ottone III di entrare in Camaldoli, o S. Ambrogio che impedisce all'imperatore Teodosio di entrare in chiesa. E subito sotto, nel frammento più angelichiano di tutta l'opera, vediamo la conversione di S. Agostino o la penitenza di S. Giuliano. Più probabilmente il santo in alto a destra è S. Girolamo, immancabile in queste rappresentazioni. Anche se è stata avanzata l'ipotesi che sia S. Benedetto. Ma cosa narra l'episodio sottostante? Si pensa al rifiuto della tiara papale da parte di San Gregorio Magno, o di Celestino V. Non c'è - per forza  - accordo neanche sulle fonti di riferimento. Si è avanzata la proposta di un testo di Enrico da Friemar, datato 1334 e intitolato Tractatus de origine et progressu Ordinis fratrum eremitarum, ma con parecchi se e parecchi ma. Ed è dato invece per molto probabile una un contributo fattivo, anche qui, di Ambrogio Traversari. Insomma, c'è parecchio materiale di discussione per gli storici.
A noi non rimane che ammirare incondizionatamente la straordinaria messa in scena dell'opera, che rappresenta un passo in avanti formidabile rispetto alla Tebaide degli Uffizi e non solo. E rende difficile, almeno per quanto riguarda il progetto, l'ossatura generale, negarne l'attribuzione all'Angelico. Il quale si serve con grande sapienza di alcuni artifici prospettici per offrirci non più una sorta di visione piatta e dalla prospettiva generale azzerata, ma un punto di vista come dall'alto di un grande anfiteatro, con i quattro episodi laterali vicini allo spettatore e che tuttavia fanno convergere gli sguardi sullo splendido convento centrale.  Laura Fenelli, riprendendo da Laclotte, riconosce nel dipinto

un'immagine destinata a illustrare l'eremitismo e il cenobitismo, in una sorta di virtuosa concorrenza tra i due modelli, e a suggerire le vocazioni nel contesto di un rilancio della vita contemplativa nell'Italia del XV secolo. Si può dunque immaginare, come collocazione originaria, che il pannello si trovasse in un luogo comunitario all'interno di un convento, dove poteva essere osservato e meditato. 

Quale convento, naturalmente, non si è al momento riusciti a sapere.