Si trova curiosamente in Via delle Ghiacciaie la Centrale termica della Stazione ferroviaria fiorentina, progettata da Angiolo Mazzoni e inaugurata nel 1934. Oggi, come si vede dalle foto, necessiterebbe di un restauro.
Via delle Ghiacciaie, anche se non ci se ne rende conto per l'interruzione data dal complesso dei binari, è la prosecuzione di Via Guelfa, e si continua con Via Cassia e Via Maragliano. Fa parte dunque del primo Decumanus minor settentrionale dell'antica centuriazione romana. Deve il nome, naturalmente, alla presenza in antico di numerose ghiacciaie nella zona. Elementi fondamentali per la vita di un tempo ormai dimenticato, vi si conservava il ghiaccio nei mesi caldi. Si tratta di un concetto ben difficile da assimilare per le nostre generazioni, per le quali da una settantina d'anni il frigorifero costituisce, più che un elettrodomestico, una protesi di cui neanche ci accorgiamo, ma che se scomparisse d'improvviso ci porterebbe alla revolverata.
I miei amici Maurizio Bertelli e Donatella Masini, nel loro preziosissimo, e temo esaurito, Fuori della Porta al Prato - San Jacopino e le Cascine, sintetizzano in modo eccellente: "Le ghiacciaie erano formate da profonde buche rivestite di paglia e riempite, nel periodo invernale da neve fresca che veniva pressata fino al raggiungimento del livello di campagna; quando il colmo era giunto la neve, così collocata, veniva ricoperta da pula e paglia per garantirne una maggiore conservazione".
La figura di Angiolo Mazzoni (Bologna 1894 - Roma 1979) è stata negli scorsi decenni riconsiderata e rivalutata tra gli addetti ai lavori, ma non ha mai avuto presso il cosiddetto grande pubblico quella notorietà che meriterebbe.
Il suo ritratto eseguito nel 1934 da Ghitta Klein Carrel, a dire il vero, non ispira una gran simpatia. Mazzoni era stato fascista e si vede, lavorò per il regime, ma non si macchiò di delitti di sorta. Fu denunciato nel 1945 alla commissione d'epurazione, ma nel 1946 fu prosciolto.
Si diplomò in architettura all'istituto di Belle Arti di Bologna e si laureò in ingegneria civile nel 1919. Forse anche grazie a questo tipo di formazione, la frequentazione giovanile dello studio di un Marcello Piacentini, pur facendogli conoscere certe tendenze del monumentalismo, non lo portò mai ad allontanarsi dall'essenzialità. Ammirò i secessionisti viennesi, fu influenzato da Carrà e De Chirico, aderì al futurismo.
Fu straordinariamente prolifico. Dotato com'era non solo di una notevole cultura ma anche di un'altrettanto notevole apertura mentale, riusciva (quasi sempre) a tenere buoni certi muffiti burocrati di regime grazie a un eclettismo apparentemente ossequioso delle varie esigenze, dietro al quale però si celava comunque una sorta di comune denominatore stilistico, non di rado originalissimo. Lavorò prevalentemente nel settore Poste e Telecomunicazioni. Sua è la colonia marina per i figli di ferrovieri e postelegrafonici di Calambrone, intitolata a Rosa Maltoni Mussolini e inaugurata nel 1933. L'elenco di stazioni ferroviarie e di palazzi delle poste da lui progettati è decisamente lungo e spazia per l'intera penisola. Wikipedia ne elenca complessivamente ben trentuno. Spiccano il palazzo postale di Grosseto, la stazione di Siena (in buona parte distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale), la stazione di Montecatini Terme.
Collaborò dal 1936 al 1943 con l'architetto Virgilio Vallot per la stazione di Venezia S. Lucia. La realizzazione del suo progetto per la nuova stazione Termini di Roma s'interruppe bruscamente il 25 luglio 1943.
Angiolo Mazzoni realizzò ben cinque diversi progetti per la nuova stazione di Firenze, prima che venisse bandito il celebre concorso (1933) vinto dal Gruppo Toscano capeggiato da Giovanni Michelucci, e al quale, sia detto tra parentesi, si deve la più bella Stazione ferroviaria d'Italia. La storia della vicenda, molto complessa, è spiegata nei particolari da Milva Giacomelli nel catalogo della mostra itinerante Angiolo Mazzoni in Toscana (Edifir 2013).
Il rifornitore d'acqua e il fabbricato servizi accessori visti da Viale F.lli Rosselli |
Nondimeno, come narrato sempre da Milva Giacomelli, Mazzoni progettò in pratica il resto del complesso legato alla ferrovia fiorentina. Sono suoi, tra l'altro, il fabbricato per i servizi accessori di Via Alamanni (il dopolavoro per intenderci), il complesso della Squadra Rialzo, ovvero il fabbricato di Viale Belfiore angolo Viale Redi attualmente in ristrutturazione, il rifornitore d'acqua accanto al sottopassaggio Principe Umberto, oggi Viale Fratelli Rosselli, e il sottopassaggio stesso.
Già, quel sottopassaggio che esce in Viale Strozzi e introduce nella circonvallazione, e nel quale prima o poi tutti noi fiorentini almeno una volta siamo rimasti ingorgati. Fu progettato da Mazzoni. Lo sapevate? Io no. Infine, la centrale termica, considerata il suo capolavoro.
Come si vede dalle foto, la prima presa in Via delle Ghiacciaie, la seconda dal binario 18 della Stazione, alla centrale è annessa la cosiddetta Cabina degli apparati centrali e, se in Via delle Ghiacchiaie la Centrale predomina la visuale dando come l'idea di una specie di transatlantico, con le sue ciminiere svettanti al centro, visto dal binario 18 il complesso suggerisce, come è stato osservato, l'idea di una locomotiva che traina un vagone.
Quando fu inaugurata, nel 1934, non poté non suscitare polemiche data la struttura che risulterebbe inusitata ancora oggi, figurarsi allora. Suscitò però - tra gli altri - l'entusiasmo incondizionato di Filippo Tommaso Marinetti.
Ancora Milva Giacomelli riporta le dichiarazioni del maggiore esponente del movimento futurista:
A colpire Marinetti era stato proprio il "versatile spirito" dell'architetto bolognese - quel manierismo moderno che raggiungeva i risultati migliori nelle costruzioni d'ingegneria dove meno invadenti erano le interferenze della committenza pubblica - "quando s'impose di genializzare gli alti camini di una 'centrale termica'. Egli lancia in cielo una scala spiralica di ferro che a una data altezza si muta in passerella orizzontale per raggiungere la prima bocca di fumo e da quella le altre. Si forma così una elegante passegiata metallica nel vuoto, che agilizza tutto l'edificio e richiama per la sua vaporosità atmosferica certe volubili ed elastiche musiche di Debussy. Praticità fusa con la bellezza, non viste mai in edifici del genere". La 'bellezza' era conferita anche dall'intonaco Terranova rosso "in tutte le facciate. Nelle pareti e nel soffitto della copertura sporgente a pensilina della parte aperta ove viene scaricato il carbone: intonaco Terranova nero. Infissi esterni, scala a chiocciola, ringhiere, passerella, camini in indaco scuro!"
Il rosso Terranova sarà ripreso nel 1973 da Marco Dezzi Bardeschi per il palazzo di Piazza S. Jacopino, anch'esso una costruzione quanto meno inusitata che ancor oggi fa discutere.
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