Via di S. Lucia sul Prato, che prosegue in Via degli Orti Oricellari, faceva parte del primo cardus minor occidentalis, e s'incrocia con Via Palazzuolo, che a sua volta costituiva parte del decumanus maximus in uscita dalla Porta Occidentale. Stiamo parlando, ovviamente, della Firenze romana e della antica centuriazione pure romana, che però lasciò sull'assetto della città un'impronta che permane ancor oggi a distanza di 2.000 anni suonati.
Ci troviamo dunque in prossimità di un incontro fra due direttrici ortogonali, e non c'è da sorprendersi se a quest'altezza è presente un luogo di culto: la chiesa appunto di S. Lucia sul Prato. Come avevo spiegato qui (ed è solo un esempio), gli incroci tra il primo decumanus minor settentrionalis e i vari cardines minores sono tuttora caratterizzati dalla presenza di chiese, che per lo più furono edificate al posto dei pagi romani man mano che il cristianesimo si affermava soppiantando la vecchia religione pagana. Si può ragionevolmente pensare che dove oggi si trova la Chiesa di S. Lucia sorgesse in antico un pagus romano? Certamente sì, ma non si è mai riusciti a trovarne traccia.
Le stesse origini della chiesa si perdono letteralmente nella notte dei tempi. L'eruditissimo Giovanni Lami, nel suo monumentale Sanctae Ecclesiae Florentinae Monumenta (1758) ammette: "Ecclesia Sanctae Luciae, quando aedificata fuerit, ignoratur". In un documento del 1060 si parla della Ecclesia Sancti Michaelis et Sancti Eusebii, cui in seguito sarà annesso nella parte settentrionale della via un lebbrosario. I lebbrosi - malattia importata dalle crociate - andavano curati, ma a debita distanza da dove rischiassero di diffonedere la malattia, e all'epoca la zona era ben lontana dalle mura cittadine.
La denominazione Sanctae Luciae ad portam, quae dicitur, Omnium Sanctorum, compare per la prima volta nel 1221, ma è nel 1251 che si parla diffusamente della Capellam Sancte Lucie de Sancto Eusebio, nel diploma di concessione dall'Arcivescovo Giovanni dei Mangiadori ai Frati Umiliati provenienti da S. Donato a Torri. Il fatto che ci si riferisca a una cappella fa supporre che la chiesa non fosse ancora parrocchiale, ma lo sarebbe divenuta ben presto, e proprio grazie ai Frati Umiliati. L'azienda da essi impiantata procurò lavoro e un notevole indotto, come diremmo oggi. Gli Umiliati costruirono case nella zona per accogliere i lavoranti, sicché la popolazione aumentò non poco, e già nel 1288 alcune case vendute risultavano positas in Populo Sancte Lucie Omnium Sanctorum.
Gli Umiliati, com'è noto, lasciarono poi la piccola chiesa di S. Lucia per costruire quella di Ognissanti e ivi trasferirsi, ciò che avvenne intorno al 1260. Mantennero tuttavia il dominio su S. Lucia fino al 1547. Subentrarono i Canonici di S. Salvatore. Erano stati chiamati da Guido Conte d'Urbino, il quale offrì loro nel 1420 il monastero di S. Donato a Scopeto, fuori Porta Romana. Da qui ebbero il nome di Monaci Scopetini. Il monastero fece purtroppo la fine di tutti gli altri in occasione dell'assedio del 1529: raso al suolo. I monaci furono trasferiti in S. Pier Gattolini (via Faenza), dove eressero un nuovo monastero. Che però non ebbe maggiore fortuna, trovandosi nell'area destinata dal Duca Cosimo alla costruzione della Fortezza da Basso. Per breve tempo i monaci alloggiarono in S. Caterina delle Ruote, poi Cosimo acquistò per loro dagli Umiliati, per 840 scudi, S. Lucia e quivi gli Scopetini poterono trasferirsi definitivamente (per modo di dire, come vedremo).
Grandi lavoratori, anche in S. Lucia sul Prato gli Scopetini si dettero da fare per ampliare la chiesa e costruirvi di fronte un monastero. Nel 1551 fu ultimata la ristrutturazione della chiesa, ma il monastero non fu mai concluso. Lo si vede nella pianta del Buonsignori (1584), di fronte S. Lucia, con due muri di collegamento - forniti di portone - tra edificio e chiesa, che chiudevano la strada. I rapporti dei monaci con la popolazione non erano peraltro idilliaci, quelli coi vicini frati di Ognissanti ancora meno. Le cronache parlano di un diverbio con questi ultimi, avvenuto nel 1549, perché avendo la chiesa sottosopra per i lavori gli Scopetini volevano celebrare le funzioni di Pasqua in Ognissanti. Gli Umiliati si rifiutarono e, leggendo tra le righe (e finalmente vennero a tale che il popolo restò pieno di scandolo) si capisce che finì in una scazzottata la mattina di Pasqua.
Gli Scopetini andarono via già nel 1575 per trasferirsi in S. Jacopo Sopr'Arno. La chiesa ebbe a questo punto il suo quarto padrone (il primo era stato il Vescovo): i Padri Missionari di S. Vincenzo de' Paoli. Vi rimasero fino al 1720.
S. Lucia sul Prato fu infine affidata al clero secolare. Grazie in particolare alla sponsorizzazione dei marchesi Torrigiani che ne ebbero il patronato, furono intrapresi quei necessari lavori di riparazione e di ampliamento che portarono alla configurazione architettonica attuale, a croce latina.
Come ha cambiato spesso padroni, così la chiesa di S. Lucia sul Prato ha continuato nel corso del tempo a cambiare aspetto, subendo non di rado i capricci delle mode del momento. Giovanni Mannajoni, cui si deve anche la ristrutturazione del Teatro della Pergola (1809), realizzò nel 1838 la nuova facciata, al termine di una serie di altri lavori iniziati nel 1831. La consacrazione della chiesa avvenne nel 1885.
Molti dei numerosi interventi compiuti nel XX secolo non sono risultati convincenti. Giampaolo Trotta, in Il Prato d'Ognissanti a Firenze (1988), parla di pesanti modifiche compiute dal parroco Don Adelmo Marrani sia prima della Seconda Guerra Mondiale sia dopo l'alluvione. Errori, sempre secondo Trotta, corretti in buona parte dal parroco seguente, Don Vittorio Cirri: in particolare "...è chiusa l'inutile, grande porta centrale aperta nella parete di fondo del presbiterio stesso, inserendo nella muratura di tamponamento il tabernacolo marmoreo di Scuola Fiorentina del XV-XVI secolo..."
Dagli anni Settanta la chiesa si è arricchita di opere moderne, tra cui la decorazione della cappella di sinistra, con scene bibliche in maiolica monocroma rosso mattone, opera di Aldo Rontini (1980), che circondano il fonte battesimale; e un affresco di Luciano Guarnieri raffigurante la Trasfissione, datato 1984.