giovedì 2 novembre 2017

GABBATO LO SANTO 10. Eligio (Alò, Loè, Lò)


Eligio è il Santo protettore dei maniscalchi, come anche dei fabbri, degli orafi e in genere di coloro che hanno a che fare con i metalli. Nacque a Chaptelat, presso Limoges, nella Francia sud occidentale, verso il 590, e morì a Noyon nel 660. In Italia il suo nome è stato storpiato nel corso del tempo da numerose contrazioni. Quelle del titolo sono solo alcune. Sant'Alò, in particolare, è protagonista di un detto popolare la cui origine è contesa da varie regioni italiane: fare come Sant'Alò, che prima morì e poi s'ammalò, e altrettanto variamente è riferito agli ipocondriaci o a chi vorrebbe sovvertire l'ordine delle cose. Su Toscana Oggi, Carlo Lapucci cita altri detti: "Sant'Alò piantava i chiodi nei buchi già fatti; Sant'Alò si bruciò il dietro e la camicia no [l'originale dev'essere più esplicito...]; Sant'Alò lasciò il mondo come lo trovò". Naturalmente nessuno di questi ha il benché minimo riferimento alla figura reale del Santo.


All'esterno di Orsanmichele, in via dell'Arte della Lana all'angolo con via dei Lamberti, troverete il monumento a Sant'Eligio forse più noto, di certo il più visto. Fu realizzato da Nanni di Banco intorno al 1420, su incarico dell'Arte dei Maniscalchi. Il Santo è raffigurato in abito vescovile nella sua nicchia. Alla base, un bassorilievo raffigura l'episodio a sua volta più noto della vita di Eligio. Probabilmente a causa di esso i maniscalchi lo vollero come protettore. Ma viene raccontato in versioni diverse. Giorgio Batini, in Firenze - pochi lo sanno (Bonechi, 1990), narra:

... Sant'Eligio, già bravissimo maniscalco francese, si vantava di saper ferrare una zampa di cavallo con tre colpi soli. Ed ecco che un giorno entrò nella sua bottega uno sconosciuto il quale gli mostrò un metodo ancora più veloce: tagliò la zampa di un cavallo, la ferrò con un colpo solo, e quindi con un segno di croce riattaccò l'arto dell'animale mutilato.
Eligio, riconosciuto il Signore nel forestiero, si gettò in ginocchio ai suoi piedi, dimenticando la passata superbia e diventando modesto. 

Questa versione è più o meno confermata recentemente da Erik von Kremer in Malattie patronati e leggende - demoiatria e consumo del sacro (Cavinato Editore, 2016), il quale però aggiunge il particolare truculento del tentativo di Eligio di emulare lo sconosciuto, mutilando irrimediabilmente un altro cavallo. Tuttavia sulla pagina Wikipedia dedicata all'opera di Nanni di Banco la vicenda è semplificata: "una zampa accidentalmente tagliata in fase di ferratura a un cavallo viene miracolosamente ricongiunta al corpo dell'animale." Insomma chi ci rimette è sempre la povera bestia.

Petrus Christus, Sant'Eligio nella bottega di un orefice.
New York, Metropolitan Museum of Art.

Per fortuna della specie equina, non è altro che una leggenda popolare, di cui - salvo errore - si ignora l'origine. Non ne fa cenno Jacopo da Varazze nella Leggenda aurea. Non ne fa cenno Sant'Ouen da Rouen (!) che di Eligio fu il primo biografo, e che da Eligio stesso era stato nominato vescovo. Nella sua Vita di S. Eligio, tradotta dal latino al francese da Louis de Montigny e dal francese in italiano dal chierico Giorgio Gucmanno (1629), non risulta nemmeno che Eligio abbia mai fatto il maniscalco.

E Ouen non è certo parsimonioso nel narrare i miracoli compiuti dal Santo sia durante sia dopo il suo passaggio su questa terra. La storia inizia con un classico dell'agiografia: la madre, il giorno prima del parto, ha una visione celestiale: una bellissima aquila che volteggia su di lei, come profetizzandole per il nascituro un avvenire radioso nella gloria di Dio. Più interessante il miracolo laico compiuto dal giovane Eligio, apprendista orafo nella bottega del prestigioso maestro Abbone. Il re Clotario II consegna al giovane l'oro necessario per realizzare un trono adeguato al suo ruolo. Eligio con quest'oro di troni gliene fa due, lasciandolo di sasso e gettando peraltro una luce sinistra sull'onestà e sulla buona fede dei colleghi.

Clotario II lo mandò a Marsiglia a dirigere la zecca. Il successore Dagoberto, resosi conto delle sue capacità, lo incaricò di numerose missioni diplomatiche. Alla morte del re, dopo aver fondato alcuni monasteri (tra cui uno a Solignac, presso Limoges, e uno a Parigi), ed essersi prodigato in opere di carità (riscatto a sue spese di prigionieri di guerra), Eligio scelse la vita religiosa, e nel 641 fu nominato Vescovo di Noyon. Da allora si dedicò all'evangelizzazione della regione, ancora in gran parte pagana, insieme con altri vescovi tra i quali Ouen. Morì, abbiamo visto, nel 660 mentre era ancora impegnato in questa missione. Nella biografia di Ouen trovano spazio una discreta quantità di miracoli compiuti da Eligio, in particolare guarigioni di infermi (e un morto resuscitato), il ritrovamento delle salme di alcuni santi, le parole terribili pronunciate da Eligio nei confronti degli apostati, e al contrario la pietà mostrata nei confronti dei poveri.

Il culto del Santo non tardò a diffondersi ampiamente fino alle nostre regioni, ed ebbe un notevole successo durante il Medioevo. Le categorie di lavoratori che ne hanno richiesto il patronato si sono fatte sempre più numerose. Tra queste, oltre a quelle citate all'inizio, vanno aggiunte quella dei carrettieri, e ancora i netturbini, i mercanti di cavalli, i veterinari, fino ai garagisti.
Ecco quanto scritto sul Martirologio romano:

A Noyon in Neustria, ora in Francia, sant'Eligio, vescovo, che, orefice e consigliere del re Dagoberto, dopo aver contribuito alla fondazione di molti monasteri e costruito edifici sepolcrali di insigne arte e bellezza in onore dei santi, fu elevato alla sede di Noyon e Tournai, dove attese con zelo al lavoro apostolico.


Foto di Marinella Ines Rusmini
Eppure, l'episodio illustrato più di frequente, per quanto inesistente e inverosimile, resta quello del cavallo. Lo si trova nella vetrata del Duomo di Milano, opera di Niccolò da Varallo risalente al 1480 (sopra). Lo si trova in numerose miniature e dipinti. Artisti come Niccolò di Pietro Gerini hanno trattato il tema. Troverete alcuni esempi qui e qui. L'arte degli Orafi, circa il 1488, commissionò a Sandro Botticelli una Incoronazione per la Cappella di Sant'Alò (!) nella controfacciata sinistra della chiesa di S. Marco (oggi la pala è agli Uffizi). Il pittore raffigurò la Vergine incoronata con i Santi Giovanni Evangelista, Agostino, Girolamo e, appunto, Eligio. Nella predella illustrò cinque episodi della vita dei relativi santi (compresa l'Annunciazione). Della vita di Sant'Eligio, il miracolo del cavallo (sotto) citava letteralmente, diremmo oggi, il bassorilievo di Nanni di Banco.







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