sabato 25 novembre 2017

Le grazie del Ponte alle Grazie


Il fatto che un libro intitolato Fra cielo e acqua - Le Romite del Ponte alle Grazie sia andato rapidamente esaurito - o giù di lì - non può che fare piacere. Vuol dire che a volerne sapere di più della nostra storia e delle nostre radici sono davvero in tanti e molti più di quanto ci si immaginerebbe. Da Pagnini Editore, nella persona di Giampiero Pagnini, ho saputo che qualche copia in qualche libreria può darsi che ci sia ancora, ma in ogni caso uscirà ben presto una nuova edizione.
Scritto (benissimo) da Beatrice Pucci con l'introduzione di Elena Giannarelli, narra nei particolari una storia di casette. Casette che, per noi abbastanza inverosimilmente, occuparono fino al 1874 le pigne del Ponte Rubaconte, poi divenuto Ponte alle Grazie.


Si vedono nella bellissima foto d'apertura, che ho ripreso da Com'era Firenze cent'anni fa (Bonechi 1969). Il ponte fu fatto costruire dal podestà Rubaconte da Mandello nel 1237, e fu l'unico a resistere alla terribile piena del 1333. I piccoli edifici sulle pigne erano già stati costruiti a partire almeno dal 1292 e furono in principio commerciali. "Dagli inizi del Trecento invece" scrive Beatrice "le fonti documentarie attestano la crescente presenza di oratori, cappelle votive e romitori sulle pigne del ponte che faceva parte della parrocchia di San Remigio"

Le vicende relative a questi romitori e alle loro occupanti  - sì, erano tutte donne - vengono narrate da Beatrice in forma di racconto avvincente. Si tratta di vicende non di rado destinate ad avere ripercussioni sulla storia fiorentina. Apollonia di Ventura di Cennino entrò nel 1390 in una delle casette per restarvi a vivere dedicandosi esclusivamente alla preghiera. Raggiunta dall'amica Agata con la nipotina, "per il grande desiderio di non avere contatti con altre persone ed essere più libere di dedicarsi esclusivamente a Dio e alla penitenza, decisero di murarsi nella loro casa sul Ponte", ciò che avvenne nel 1400. Una sola finestrella consentiva l'entrata del minimo indispensabile per il loro sostentamento. Nasceva così fra cielo e acqua il convento delle Murate, le cui religiose, non senza aver meritato l'ammirazione e devozione dei fiorentini, nel 1424 si sarebbero poi trasferite in via Ghibellina.


Va da sé che la storia è ben più complessa, come le altre. Beatrice Pucci le inserisce poi in un contesto più ampio, facendone conoscere le premesse e illustrando lo svilupparsi della vita eremitica a partire dal IV secolo in Asia Minore, parallelamente al nascere delle prime esperienze comunitarie monacali. Particolare attenzione viene giustamente rivolta all'eremitismo femminile, molto frequente ma poco raccontato, per di più e per lo più attraverso lenti maschili(ste). Si è messi alla fine davanti a due concetti in apparenza paradossali: il primo è "vivere in solitudine rimanendo in un contesto urbano", fenomeno che verso il XIII secolo andò diffondendosi ben più di quanto non venga istintivamente da pensare. Un esempio fiorentino - ma Beatrice ne cita molti altri - è quello della Beata Umiliana de' Cerchi che si autorecluse "in una cellula della torre della casa paterna dove pregava giorno e notte; usciva all'alba per recarsi agli uffici divini o per qualche opera di carità ed il sabato per potersi comunicare".
Il secondo concetto ci risulta ancora più ostico da comprendere, ed è la scelta monacale fino all'autoincarcerazione come scelta femminile del tutto consapevole e indipendente, non di rado operata per sfuggire o rimediare a imposizioni da parte della famiglia. L'autoincarcerazione come scelta di libertà, insomma. Situazioni in cui viene rovesciato il concetto / luogo comune della monaca di Monza a cui le nostre forzate letture liceali ci avevano abituati (I Promessi Sposi è un capolavoro, ma viene fatto leggere all'età sbagliata).

Se guardate di nuovo la foto d'apertura, noterete all'estrema sinistra una costruzione con una croce sul tetto. Vi era in precedenza, dal 1313, un semplice tabernacolo, con una Madonna col Bambino oggi attribuita al Maestro della Santa Cecilia. Il dipinto si guadagnò ben presto una fama di immagine miracolosa (ne parla anche il Sacchetti), al punto che nel 1371 Iacopo di Carroccio Alberti ottenne l'autorizzazione per costruirvi intorno una cappella che la custodisse. La devozione dei fiorentini crebbe ulteriormente insieme con le grazie concesse loro dalla Beata Vergine, e la denominazione iniziale  della cappella a S. Maria divenne a S. Maria delle Grazie, titolo che si estese poi al ponte. Il ponte di Rubaconte divenne il ponte alle Grazie come ancora oggi è universalmente conosciuto. Scrive Beatrice:

Il Comune nel 1866 deliberò l'ampliamento della carreggiata del piano stradale (...). Così nel 1874 furono distrutte tutte le singolari costruzioni sulle pigne. Anche l'oratorio di S. Maria delle Grazie fu demolito, ma per volontà dei suoi patroni venne ricostruito con le stesse caratteristiche a poca distanza. La famiglia Alberti mise a disposizione uno dei suoi palazzi a pochi metri dal ponte e lì, dopo importanti lavori di ristrutturazione, venne traslato l'affresco della Madonna miracolosa.

L'oratorio, piccolo come era sulla pigna del ponte, esiste ancora, è sul Lungarno Diaz al n. 6. Qui è esposta l'immagine di S. Maria, e qui ho conosciuto Beatrice Pucci, Autrice del libro, e Marisa Aterini, che dell'oratorio sono responsabili e lo tengono come un bijoux.
Con non inattesa umiltà Beatrice mi ha raccontato come il libro sia risultato di un anno di lavoro continuo, in particolare di ricerche negli archivi, meno sfibrante che appassionante. "Non ce l'avrei fatta senza il supporto di Marisa!, e i contributi di Elena Giannarelli." Quasi sorpresa alla notizia che il libro è praticamente esaurito, non nasconde però una soddisfazione più che legittima. Poi mi parlano entrambe della cura con cui gestiscono l'oratorio, cura sulla quale non c'era bisogno di precisazioni. "Cerchiamo di renderlo più, come dire, riconoscibile, perché è davvero piccolo e rischia di non essere notato."

A questo proposito le domando se è vero quanto avevo letto su un sito, che l'oratorio di S. Maria alle Grazie è il più piccolo d'Italia. "L'abbiamo sentito dire anche noi" mi risponde, "ma francamente non potremmo confermarlo con certezza. In molti casi la figura dell'oratorio è stata accostata per antitesi all'altro tempio mariano fiorentino: la SS. Annunziata. Grande quello, piccolo questo."
Infine, il desiderio di Beatrice e Marisa: porre sul ponte alle Grazie una targa che ricordi la presenza dei romitori - e l'attività delle occupanti - sulle pigne. "Ci auguriamo di avere presto le relative autorizzazioni."
Qualora non riusciate a trovare il libro di Beatrice Pucci, potete contattare la Casa Editrice qui.





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