Nel 1870, Gaetano Milanesi pubblicò per Le Monnier una memoria di 16 pagine dal titolo Della Tavola di Nostra Donna nel Tabernacolo d'Or San Michele e del suo vero Autore.
Sull'attribuzione di questo capolavoro erano state avanzate fino ad allora numerose ipotesi: da Ugolino (probabile autore della tavola preesistente, che a sua volta sostituì quella, ritenuta miracolosa, distrutta nell'incendio del 1304) fino a Lorenzo Monaco, passando per lo stesso Orcagna autore del monumentale tabernacolo.
Milanesi, in un registro della Compagnia di Orsanmichele, rinvenne scritto al 16 giugno 1347: A BERNARDO DI DADDO DIPINTORE PER PARTE DI PAGAMENTO DE LA DIPINTURA DE LA TAVOLA NUOVA DI NOSTRA DONNA, fiorini quattro d'oro.
Risolta in modo irrefutabile la disputa sull'autore della bellissima tavola, Milanesi nella stessa memoria tracciò una biografia breve e insicura, data la scarsità di documentazione allora disponibile, di Bernardo. “Il nostro Bernardo" scrisse tra l'altro, "nato negli ultimi anni del secolo XIII, fu figliolo d’un Daddo di Simone, il quale ho ragione di credere che venisse in Firenze da un luogo di Mugello chiamato Il Salto.” Si tratta di una località non distante da Borgo S. Lorenzo. Non fornì ulteriori spiegazioni, ma l'origine mugellana di Bernardo Daddi è stata da allora unanimemente accettata dagli storici.
Grazie a Gaetano Milanesi, la figura di questo artista venne così risvegliata da un torpore lungo secoli. A questo torpore avevano contribuito due grandi ma a volte poco attendibili biografi dell’arte, Vasari e Baldinucci: entrambi lo liquidarono in poche righe e, quel che è peggio, non ne azzeccarono una. Il primo lo disse allievo di Spinello Aretino (poteva esserne stato casomai il maestro), autore tra l’altro dell’affresco nella Cappella di San Lorenzo in Santa Croce (e qui aveva ragione), e degli affreschi delle lunette interne di alcune porte fiorentine (quello di Porta San Giorgio, per esempio, è di Bicci di Lorenzo), morto nel 1380 (in realtà nel 1348; la data di nascita non è mai stata accertata) e seppellito a Firenze in Santa Felicita (nessuna conferma). Baldinucci fece una specie di copia incolla ante litteram e aggiunse che era pittore aretino. Tutte queste notizie furono distrattamente considerate valide fino all'Ottocento.
Il Trittico di Ognissanti, oggi agli Uffizi, è la prima opera datata di Bernardo Daddi (1328) |
Eppure, un sospetto che non si trattasse di un artista minore poteva nascere dal fatto che Daddi fu tra i primi consiglieri, nel 1339, della neonata Compagnia di San Luca, una sorta di sindacato pittori. Il Sacchetti poi, nella novella 136 (circa il 1390), narrava di una disputa su chi fosse il miglior successore di Giotto, e si faceva tra gli altri il nome di Bernardo.
Dopo che Milanesi ebbe gettato il sasso nello stagno, s'iniziò una riconsiderazione dell'opera di Bernardo Daddi, che fu oggetto di studi da parte dei massimi storici dell'arte, da Mario Salmi a Bernhard Berenson fino a quel Richard Offner autore del gigantesco progetto A critical and historical Corpus of florentine paintings, iniziato nel 1930 e, dopo la sua morte avvenuta nel 1965, proseguito da Miklós Boskovits fino al 2011, e ancora oggi in corso. Dei 27 volumi finora pubblicati, ben quattro sono dedicati a Bernardo Daddi, alla sua bottega e ai suoi allievi. Il dibattito sul valore e sul ruolo di Bernardo nella vicenda artistica fiorentina è stato acceso per tutto il '900, andando da un "dilettissimo quanto mediocre usignolo meccanico" (Roberto Longhi) a un "after Giotto (...) certainly the greatest master in Florence in his days" (Richard Offner).
Nel frattempo venivano alla luce nuovi documenti che delineavano meglio la vicenda umana di Bernardo, immatricolato presso i Medici e Speziali prima del 1320 e morto, lo abbiamo detto, nel 1348 in modo meno originale che terribile: di peste.
Ne emerge un artista che, inizialmente giottesco di stretta osservanza (chi, avendone il talento, non lo sarebbe stato allora?), si avvierà poi verso un percorso stilistico non rivoluzionario ma personalissimo che procurerà, a lui e alla sua fiorente bottega, un consenso notevole e un conseguente successo anche finanziario.
La sua attività verteva da un lato sulla creazione di piccole opere commissionate da facoltose famiglie della borghesia fiorentina, trittici e polittici di dimensioni ridotte, non di rado portatili, o destinati a ornare altari di altrettanto piccoli oratori privati, all'interno di ville da signore; dall'altro sulla realizzazione di opere di grandi dimensioni. Un buon esempio del primo genere è dato dall'Altarolo conservato al Museo fiorentino del Bigallo (sopra).
Le grandi opere fecero senza dubbio di Bernardo Daddi una vera superstar dell'epoca a Firenze. Il suo nome doveva essere celebre anche ben al di fuori della cerchia degli artisti. Tutti i fedeli potevano ammirare nelle chiese i suoi capolavori. L'esempio più classico, ma non certo l'unico, è proprio la tavola di Orsanmichele. Diversi di essi hanno subito, in tempi recenti, restauri accuratissimi che hanno riportato così alla luce, e che luce, qualità pittoriche straordinarie non di rado offuscate dal tempo, facendo moltiplicare gli studi e l'interesse su Bernardo, completando insomma in un certo senso quella rivincita sull'oblio iniziata nell'ormai lontano 1870.
Nel 2010 è stato pubblicato un trattato (ed. Centro Di) a cura di Antonella Nesi e Ginevra Utari sul restauro della grandiosa Croce dipinta del Museo Bardini, per la quale si è ipotizzata una destinazione al centro della Cattedrale fiorentina di S. Reparata. Mentre sull'altare maggiore era collocato l'altrettanto imponente polittico.
Nel 2013 un altro grande polittico, Madonna in trono col Bambino e quattro Santi (sotto), dipinto per i Domenicani di S. Maria Novella e destinato al cosiddetto Cappellone degli Spagnoli, ha subito un ultimo intervento conservativo, al termine di una lunga serie di restauri, necessaria per un'opera che subì i danni dell'Alluvione. Oggi è nel percorso del Museo di S. Maria Novella.
Nel 2000, Angelo Tartuferi pubblicò per le edizioni Sillabe un saggio sul restauro di quella che è considerata una delle opere più tarde - e belle - di Bernardo Daddi, l'Incoronazione oggi alla Galleria dell'Accademia ma anch'essa realizzata per S. Maria Novella, e nella quale l'evidente discendenza giottesca - in particolare il Polittico Baroncelli - si dissolve e stempera in una illustrazione assolutamente personale. Scrive Tartuferi: "Le indicazioni spaziali e architettoniche sono praticamente assenti e la credibilità degli ambienti in cui si svolge la scena è affidata ormai soltanto ai personaggi, o meglio ai loro corpi, che si dilatano assumendo una solenne naturalezza e, soprattutto, 'misurando' lo spazio circostante che lo spettatore può intuire in maniera plausibile, pur non vedendone alcuna coordinata".
Si può aggiungere che la accurata sontuosità delle vesti sembra quasi preannunciare un gotico cortese in realtà di là da venire, ed è in rapporto molto stretto con la composizione dell'ultima opera conosciuta di Bernardo Daddi: il Polittico di S. Giorgio a Ruballa, oggi alla Courtauld Gallery di Londra. È datato 1348, l'anno della sua - e di mille e mille altri - morte.
Complimenti per il testo chiaro e esauriente e per l'ottimo corredo fotografico.
RispondiEliminaLeonardo Catalano. Responsabile Servizi Didattici Museo Diocesano di Milano
Mi permetta di sentirmi onoratissimo per i Suoi complimenti.
EliminaComplimenti per la dettagliata descrizione delle opere e per le notizie, importanti ed in alcuni casi, inedite.Grazie.Alfredo Verdi Demma.
RispondiEliminaRendere fruibile l'arte in modo chiaro e comprensibile non e' sempre facile ma non e' impossibile. E' un dovere oltre un grande piacere. Complimenti.
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